domenica 22 dicembre 2024

Ugo Foscolo (1778-1827). Ultime lettere di Jacopo Ortis. Oscar Mondadori, 1987

Gli storici del Risorgimento, risalendo alle fonti ideali del movimento che portò in pochi decenni all’unificazione dell’Italia, parlano soprattutto di poeti e di scrittori. Costoro nelle loro opere, e spesso anche con la testimonianza della propria vita, avevano creato, sul modello offerto dalla Chiesa cattolica, una figura di patriota che si identificava con l’eroe martire, che con la sua morte affermava la patria (Carocci). Alberto M. Banti afferma che, agli albori del movimento risorgimentale, gli scrittori fanno leva sulla tradizione letteraria italiana per sostenere la necessità di lottare e di sacrificarsi per l’Italia. “Foscolo lo fa con una maestria che impone il suo libro come uno dei testi di riferimento del patriottismo italiano”. Di Foscolo, anche Benedetto Croce, in ‘Poesia e non poesia’, scrive che “i patrioti italiani dell’Ottocento potrebbero dirsi con giusta ragione suoi figliuoli”, e che egli fu “educatore di virili generazioni”. Sarei curioso di sapere quali siano state queste virili generazioni composte da patrioti tutti ispirati dai sentimenti foscoliani. Nella sua ‘Storia d’Italia dal 1871 al 1915’ il filosofo abruzzese, fra le tante esagerazioni che sembrano quasi spacconate, scrive: “Di rado un popolo ebbe a capo della cosa pubblica  un’eletta di uomini come quelli della vecchia Destra italiana, da considerare a buon diritto esemplari per la purezza del loro amore di patria che era amore della virtù, per la serietà e dignità del loro abito di vita, per l’interezza del loro disinteresse, per il vigore dell’animo e della mente […] Gli atti loro, le parole che ci hanno lasciate scritte, sono fonti perenni di educazione morale e civile” ecc. ecc. Quanto poco perspicace conoscitore di uomini fosse Croce, e disinvolto valutatore di fatti storici, lo dimostra il suo giudizio su Vittorio Emanuele II. Giampiero Carocci scrive che “Vittorio Emanuele II era un uomo rozzo e ignorante, amante della caccia e della guerra, donnaiolo di facili gusti”. Croce, con semplici giochetti di parole, riesce a trasformare queste caratteristiche negative, senza negarle, in qualità regali. “Vittorio Emanuele II aveva serbato non poco del vecchio re di razza, la qual cosa conferiva al suo prestigio presso il popolo, che trovava rispondente al proprio concetto di un re il suo aspetto e piglio soldatesco, il suo abito di gentiluomo campagnolo e cacciatore, la franchezza e la sprezzatura dei suoi modi, e perfino quel che si bisbigliava delle sue relazioni col bel sesso”. Il filosofo, ostinato a vantare anche i difetti dei protagonisti del Risorgimento, non si è nemmeno accorto di aver disegnato un popolo e un re da operetta. – Per quanto ne so, non riesco a immaginare, a metà dell’Ottocento, dei patrioti d’ispirazione foscoliana diversi da quel garibaldino diciannovenne, Telesforo Catoni, di cui parla l’Abba nelle sue noterelle sui Mille. “Gli si legge in faccia una castità di fanciulla; non gli esce mai una parola volgare; sta quasi sempre solo; adora Foscolo e il carme dei Sepolcri che sa a memoria […] Catoni ha molto del foscoliano, e chi ponesse il suo ritratto per frontespizio nell’Ortis, ognuno direbbe che certo il povero Jacopo fu così”. Il giovane Telesforo sarà anche stato molto somigliante all’Ortis e innamorato della poesia foscoliana, ma certo l’eroe del romanzo di Foscolo avrebbe rifiutato di partecipare alla guerra civile scatenata dal Regno di Sardegna per conquistare il pacifico Regno delle Due Sicilie. Gli ideali dell’Ortis erano ben più nobili e generosi di una semplice unificazione politico-amministrativa del paese, compiuta con la violenza e ignorando la volontà delle popolazioni. Il filosofo Andrea Caffi ha detto nel modo più chiaro: “Il Risorgimento italiano è stato in definitiva un movimento addomesticato, deviato, confiscato da profittatori equivoci. Il suo esito ha determinato un disagio sociale e un marasma della vita intellettuale in Italia, che hanno avuto per sbocco (tutt’altro che inaspettato) il fascismo”. –  Le lettere appassionate di Jacopo Ortis, sfrondate dell’enfasi e delle lacrime giovanili e romantiche, sono piene di idee profonde, concrete e lungimiranti. Personalmente era un giovane disposto a sacrificare la vita per la verità. “S’io avessi venduta la fede, rinnegata la verità, trafficato il mio ingegno, credi tu ch’io non vivrei più onorato e tranquillo? Ma gli onori e la tranquillità del mio secolo guasto meritano forse di essere acquistati col sagrificio dell’anima? Forse più che l’amore della virtù, il timore della bassezza m’ha rattenuto alle volte da quelle colpe, che sono rispettate ne’ potenti”. Foscolo afferma che la libertà non si può né comprare con denaro né raggiungere con l’aiuto di paesi stranieri, che perseguono sempre il loro esclusivo interesse. I francesi, scrive il poeta,  “hanno fatto parere esecrabile la divina teoria della pubblica libertà”. Già solo questa idea avrebbe bocciato la politica egemonica piemontese, che, per occupare gli altri stati italiani, aveva necessariamente bisogno dell’aiuto straniero, e avrebbe invece favorito una possibile federazione di stati. Ma Foscolo, benché fosse ancora molto giovane quando scriveva l’Ortis, ha anche una larga visione della società, che manca del tutto alla gretta cultura dei governi piemontesi. “L’Italia ha preti e frati, non già sacerdoti… ha de’ titolati quanti ne vuoi; ma non ha propriamente patrizj […] abbiamo plebe; non già cittadini […] i medici, gli avvocati, i professori d’università, i letterati, i ricchi mercatanti, l’innumerabile schiera degl’impiegati… non hanno nerbo e diritto cittadinesco […] Or di preti e frati facciamo de’ sacerdoti; convertiamo i titolati in patrizj; i popolani tutti in cittadini abbienti… ma badiamo! senza carneficine; senza riforme sacrileghe di religione; senza fazioni; senza proscrizioni né esilii; senza ajuto e sangue e depredazioni d’armi straniere”. Ortis-Foscolo non può essere ridotto a eroe-santino, invocato per dare un’aura d’ideale ai propri misfatti.

 

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