Gli storici del Risorgimento, risalendo alle fonti ideali del
movimento che portò in pochi decenni all’unificazione dell’Italia, parlano
soprattutto di poeti e di scrittori. Costoro nelle loro opere, e spesso anche
con la testimonianza della propria vita, avevano creato, sul modello offerto
dalla Chiesa cattolica, una figura di patriota che si identificava con l’eroe
martire, che con la sua morte affermava la patria (Carocci). Alberto M. Banti
afferma che, agli albori del movimento risorgimentale, gli scrittori fanno leva
sulla tradizione letteraria italiana per sostenere la necessità di lottare e di
sacrificarsi per l’Italia. “Foscolo lo fa con una maestria che impone il suo
libro come uno dei testi di riferimento del patriottismo italiano”. Di Foscolo,
anche Benedetto Croce, in ‘Poesia e non poesia’, scrive che “i patrioti
italiani dell’Ottocento potrebbero dirsi con giusta ragione suoi figliuoli”, e
che egli fu “educatore di virili generazioni”. Sarei curioso di sapere quali
siano state queste virili generazioni composte da patrioti tutti ispirati dai
sentimenti foscoliani. Nella sua ‘Storia d’Italia dal 1871 al 1915’ il filosofo
abruzzese, fra le tante esagerazioni che sembrano quasi spacconate, scrive: “Di
rado un popolo ebbe a capo della cosa pubblica
un’eletta di uomini come quelli della vecchia Destra italiana, da
considerare a buon diritto esemplari per la purezza del loro amore di patria
che era amore della virtù, per la serietà e dignità del loro abito di vita, per
l’interezza del loro disinteresse, per il vigore dell’animo e della mente […]
Gli atti loro, le parole che ci hanno lasciate scritte, sono fonti perenni di
educazione morale e civile” ecc. ecc. Quanto poco perspicace conoscitore di
uomini fosse Croce, e disinvolto valutatore di fatti storici, lo dimostra il
suo giudizio su Vittorio Emanuele II. Giampiero Carocci scrive che “Vittorio
Emanuele II era un uomo rozzo e ignorante, amante della caccia e della guerra,
donnaiolo di facili gusti”. Croce, con semplici giochetti di parole, riesce a
trasformare queste caratteristiche negative, senza negarle, in qualità regali.
“Vittorio Emanuele II aveva serbato non poco del vecchio re di razza, la qual
cosa conferiva al suo prestigio presso il popolo, che trovava rispondente al
proprio concetto di un re il suo aspetto e piglio soldatesco, il suo abito di
gentiluomo campagnolo e cacciatore, la franchezza e la sprezzatura dei suoi
modi, e perfino quel che si bisbigliava delle sue relazioni col bel sesso”. Il
filosofo, ostinato a vantare anche i difetti dei protagonisti del Risorgimento,
non si è nemmeno accorto di aver disegnato un popolo e un re da operetta. – Per
quanto ne so, non riesco a immaginare, a metà dell’Ottocento, dei patrioti
d’ispirazione foscoliana diversi da quel garibaldino diciannovenne, Telesforo
Catoni, di cui parla l’Abba nelle sue noterelle sui Mille. “Gli si legge in
faccia una castità di fanciulla; non gli esce mai una parola volgare; sta quasi
sempre solo; adora Foscolo e il carme dei Sepolcri che sa a memoria […] Catoni
ha molto del foscoliano, e chi ponesse il suo ritratto per frontespizio
nell’Ortis, ognuno direbbe che certo il povero Jacopo fu così”. Il giovane
Telesforo sarà anche stato molto somigliante all’Ortis e innamorato della
poesia foscoliana, ma certo l’eroe del romanzo di Foscolo avrebbe rifiutato di
partecipare alla guerra civile scatenata dal Regno di Sardegna per conquistare il
pacifico Regno delle Due Sicilie. Gli ideali dell’Ortis erano ben più nobili e
generosi di una semplice unificazione politico-amministrativa del paese, compiuta con la violenza e ignorando la volontà delle popolazioni. Il
filosofo Andrea Caffi ha detto nel modo più chiaro: “Il Risorgimento italiano è
stato in definitiva un movimento addomesticato, deviato, confiscato da
profittatori equivoci. Il suo esito ha determinato un disagio sociale e un marasma
della vita intellettuale in Italia, che hanno avuto per sbocco (tutt’altro che
inaspettato) il fascismo”. – Le lettere
appassionate di Jacopo Ortis, sfrondate dell’enfasi e delle lacrime giovanili e
romantiche, sono piene di idee profonde, concrete e lungimiranti. Personalmente era un giovane disposto a sacrificare la vita per la verità. “S’io avessi venduta la
fede, rinnegata la verità, trafficato il mio ingegno, credi tu ch’io non vivrei
più onorato e tranquillo? Ma gli onori e la tranquillità del mio secolo guasto
meritano forse di essere acquistati col sagrificio dell’anima? Forse più che
l’amore della virtù, il timore della bassezza m’ha rattenuto alle volte da
quelle colpe, che sono rispettate ne’ potenti”. Foscolo afferma che la libertà
non si può né comprare con denaro né raggiungere con l’aiuto di paesi stranieri,
che perseguono sempre il loro esclusivo interesse. I francesi, scrive il poeta, “hanno fatto
parere esecrabile la divina teoria della pubblica libertà”. Già solo questa
idea avrebbe bocciato la politica egemonica piemontese, che, per occupare gli altri stati italiani, aveva necessariamente bisogno dell’aiuto straniero, e avrebbe invece favorito una possibile federazione di
stati. Ma Foscolo, benché fosse ancora molto giovane quando scriveva l’Ortis,
ha anche una larga visione della società, che manca del tutto alla gretta
cultura dei governi piemontesi. “L’Italia ha preti e frati, non già sacerdoti…
ha de’ titolati quanti ne vuoi; ma non ha propriamente patrizj […] abbiamo
plebe; non già cittadini […] i medici, gli avvocati, i professori d’università,
i letterati, i ricchi mercatanti, l’innumerabile schiera degl’impiegati… non
hanno nerbo e diritto cittadinesco […] Or di preti e frati facciamo de’
sacerdoti; convertiamo i titolati in patrizj; i popolani tutti in cittadini
abbienti… ma badiamo! senza carneficine; senza riforme sacrileghe di religione;
senza fazioni; senza proscrizioni né esilii; senza ajuto e sangue e
depredazioni d’armi straniere”. Ortis-Foscolo non può essere ridotto a
eroe-santino, invocato per dare
un’aura d’ideale ai propri misfatti.
domenica 22 dicembre 2024
Ugo Foscolo (1778-1827). Ultime lettere di Jacopo Ortis. Oscar Mondadori, 1987
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