mercoledì 5 giugno 2024

Carlo Emilio Gadda (1893-1973). Lettere agli amici milanesi. Il Saggiatore, 1983

Di Gadda ho letto soltanto, molti anni fa, “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”. Ne ricordo solo qualche immagine espressa con parole sorprendenti e una certa cupa e fascinosa atmosfera. Ma il libro non mi appassionò e col tempo è svanito dalla mia mente. Ora, però, suggestionato dai giudizi di alcuni lettori, ho il desiderio di conoscere meglio questo scrittore. “Lettere agli amici milanesi” (un libretto di appena novanta pagine) raccoglie, in due gruppi distinti, lettere scritte da soldato durante la prima guerra mondiale, e lettere scritte dal 1932 fino al 1969. Specialmente nelle lettere del secondo gruppo, sincere in un modo disperato, si rivela la personalità profonda di Gadda. “Non sono moribondo, ma afflitto da molti e pericolosi e penosi mali (prostatite, nefrite, insufficienza biliare, arteriosclerosi, ecc.) che domandano cure e riguardi. Sono solo (vae soli! dice la Bibbia) e sciaguratamente celibe”, scrive nel 1965 all’amico Ambrogio Gobbi. Nel 1961, all’amico Domenico Marchetti scriveva: “Scrivere, camminare, viaggiare, ciarlare per necessità e avere gli inevitabili rapporti umani con la folla di questo ineffabile manicomio-festival che è l’Italia e un po’ tutto il mondo, mi riesce penoso: e a momenti impossibile... Andar solo pei treni ho un po’ paura”. Tredici anni prima, nel 1948, scriveva all’amico Ambrogio: “Valetudinario, nevrastenico, ultramisantropo, desideroso di schiacciare a colpi di ciabatta i quarantasei milioni di mangiamaccheroni [...] Con l’ulcera gastrica che a quando a quando mi butta a terra e uno zampone gonfio [a causa della flebite] come il confratello di Modena, discendo lentamente nel sepolcro, avvolto da una nuvola di rabbia, sprigionando maledizioni e giuroni alla facciazza dei vicini di casa che mi disturbano, con la loro prole, con le loro ghitarre, con le loro radio”. Ma già nel 1934, sempre ad Ambrogio Gobbi, Gadda aveva scritto: “Il mio male [ulcera gastrica] è dovuto in gran parte allo strazio continuo del dover fare l’ingegnere, mentre vorrei solo occuparmi di studi e di scrivere, stare a tavolino 5 ore e altre 5 sparapanzarmi a leggere. Questo dissidio ha raggiunto negli ultimi anni un’acutezza tale, che io non ho più pace... Passo da una pensione all’altra, preda delle spettinate megere...La mia malattia e ‘l’esperienza’ del mondo hanno ottenuto questo: che gli uomini mi divengono di più in più odiosi”. Povero Gadda! Forse non era un uomo molto simpatico, però la sua sofferenza era vera e profonda. Emma Sassi, autrice dell'ampia, bella e chiara introduzione, scrive: “Ciò che balza con evidenza in primo piano in tutte queste lettere è l’aspetto umano, la figura dell’uomo afflitto dalla nevrosi, da quel ‘male oscuro’ che, come egli scrive nella Cognizione del dolore, ‘si porta dentro di sé per tutto il fulgurato scoscendere d’una vita, più greve ogni giorno, immedicato’ e senza il quale, forse, Gadda non sarebbe diventato il grande scrittore che conosciamo”.

 

 

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