Scorrendo per non più di dieci minuti le pagine di Facebook sono stato
sommerso da una valanga di interventi di Umberto Galimberti su
quasi tutti i settori della società: la scuola, la cultura, la gioventù, l’amore,
la letteratura, la filosofia, gli immigrati, la salute, la religione e la
politica.
Anticipo subito la mia opinione: Umberto Galimberti sta alla filosofia come
un armadietto del pronto soccorso, appeso nella portineria di un condominio,
sta a un grande e attrezzato Policlinico. In pratica i severi ammonimenti di
Galimberti potrebbero, secondo me, essere accolti al massimo come consigli di un filosofo condominiale.
Non c’è una sentenza che sia chiara, giusta, completa e penetrante. Sono
rimasticature di piccole e banali verità che, nel momento in cui vengono
generalizzate, diventano false.
Per esempio, Galimberti sostiene che “i sentimenti si apprendono”. Con un tono categorico che non ammette obiezioni, afferma: “Invece
di riempire le scuole di lavagne digitali e ca***te varie, riempiamole di
letteratura, perché quello è il luogo eminente in cui impari i sentimenti. Perché
i sentimenti si imparano, non ce li hai per natura. E se uno ha sentimento non
brucia un immigrato che dorme sulla panchina. Uno che ha sentimento non picchia
un handicappato. Se uno fa queste cose non ha sentimento. Non l’ha imparato”.
A parte il fatto che i buoni sentimenti non si imparano, ma piuttosto si educano (se la
natura ci ha fatto la grazia di concederceli), Galimberti non disdegna qui di unire l’utile
al dilettevole, anzi dimostra che è questo il suo vero scopo, perché, mentre sta parlando di sentimenti in generale, corre subito a difendere l'immigrazione, introducendola nel discorso, con una forzatura gesuitica, per mezzo di un'osservazione del tutto fuori luogo. "Se uno ha sentimento, non brucia un immigrato". Ma che c'entra qui l'immigrato? Se uno ha sentimento, non ammazza nemmeno i genitori. Galimberti parla come se dare
fuoco a un immigrato fosse diventato uno sport popolare.
Ma rimanendo alla pura teoria, o anzi, meglio, all'esperienza, se fosse vero che i sentimenti vengono dall'educazione e non dalla natura, l’uomo sarebbe perfettibile. Pur con estrema fatica, sarebbe possibile
far diventare tutti buoni. Invece, nella realtà, lo studio e l’educazione sono come l’acqua
sulle piante: sviluppano solo le qualità del seme. E la natura è molto avara di semi buoni. Non per niente Molière nelle
Femmes savantes ha scritto: “E io vi garantisco / che uno sciocco istruito è
ben più sciocco di uno sciocco ignorante”.
Il bello è che poi Galimberti, che procede a tentoni, dimenticando l’importanza attribuita alla letteratura, vorrebbe eliminare dalla scuola ‘I Promessi sposi’. “Io
sono del parere per esempio che bisogna far smettere di leggere ai ragazzi i
Promessi Sposi. Ve lo dico sinceramente. Perché, cosa succede? È un romanzo
bellissimo, scritto in una maniera folgorante, una grande letteratura, ma non
puoi dare a un ragazzo, a un ginnasiale, il messaggio che quello che conta
nella storia lo fa la Provvidenza e tu non conti un tubo”.
E’ incredibile che queste stupidaggini ricevano tanti consensi e Galimberti
sia considerato un maestro.
Intanto, quando lui dice che il romanzo di Manzoni è bellissimo, non si può credere nemmeno per un attimo che sia sincero. Se fosse sincero, saprebbe, o almeno sentirebbe, che la bellezza è già di per sé educativa, che il grande stile è educativo, che la verità dei personaggi è educativa.
Ma tutto questo sfugge al nostro filosofo, che sicuramente si è annoiato a morte
sulle pagine di Manzoni. Lo dimostra, tra l'altro, l'uso dell'aggettivo "folgorante", che non è proprio adatto ai Promessi sposi e che è buttato lì, con facile esagerazione, proprio per far credere a un'ammirazione di cui Galimberti non può ammettere che si dubiti. L’unica cosa importante per lui è il ruolo negativo della
Provvidenza. A rigore, seguendo il suo ragionamento laico e progredito, non
bisognerebbe leggere nemmeno l’Iliade e l’Odissea, piene di divine falsità. Ma forse il laico progressista detesta più la divina Provvidenza, che è ancora attiva per i suoi tanti credenti, che non gli "dei falsi e bugiardi", ormai innocui.
Il repertorio di Galimberti è inesauribile e potrebbe riempire una enciclopedia. Quello che segue è, per ora, l'ultimo sproposito che porto come esempio.
“L’apprendimento,
lo dice Platone, avviene per via erotica. Noi stessi abbiamo studiato
volentieri le materie dei professori di cui eravamo innamorati e abbiamo
tralasciato quelli di [sic] cui non avevamo alcun interesse”.
Galimberti parla di
allievi innamorati dei professori come di un fenomeno noto e diffuso. Ma in tanti
anni di scuola, a me non è mai accaduto, né ricordo sia accaduto a qualche
compagno di classe. Solo all’università ho sentito vagamente il fascino intellettuale di
qualche docente. Ma Galimberti svaluta l’intelletto e considera tutta la gioventù chiusa e ferma in una condizione di pura emotività. Salvo rammaricarsi, in un altro monito, con l'abituale incoerenza, che oggi nessun giovane sia in grado di scrivere a 21 anni una poesia come L'Infinito di Leopardi o di fare scoperte come quelle fatte da Einstein a 24. Quelli di Galimberti sono moniti estemporanei di pronto impiego, che non aspirano a organizzarsi in un sistema di convinzioni coerenti. Per ora lui resta persuaso che sia necessario introdurre nella scuola l'apprendimento per via erotica. Se l'ha detto anche Platone, dobbiamo
crederci. Ma il Socrate immortalato da Platone nei suoi Dialoghi cerca con pazienza di convincere la mente dei
suoi interlocutori, non di affascinarli facendo leva sulle emozioni.
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