domenica 10 settembre 2023

Umberto Galimberti, un filosofo prêt-à-porter

 

Scorrendo per non più di dieci minuti le pagine di Facebook sono stato sommerso da una valanga di interventi di Umberto Galimberti su quasi tutti i settori della società: la scuola, la cultura, la gioventù, l’amore, la letteratura, la filosofia, gli immigrati, la salute, la religione e la politica.

Anticipo subito la mia opinione: Umberto Galimberti sta alla filosofia come un armadietto del pronto soccorso, appeso nella portineria di un condominio, sta a un grande e attrezzato Policlinico. In pratica i severi ammonimenti di Galimberti potrebbero, secondo me, essere accolti al massimo come consigli di un filosofo condominiale.

Non c’è una sentenza che sia chiara, giusta, completa e penetrante. Sono rimasticature di piccole e banali verità che, nel momento in cui vengono generalizzate, diventano false.

Per esempio, Galimberti sostiene che “i sentimenti si apprendono”. Con un tono categorico che non ammette obiezioni, afferma: “Invece di riempire le scuole di lavagne digitali e ca***te varie, riempiamole di letteratura, perché quello è il luogo eminente in cui impari i sentimenti. Perché i sentimenti si imparano, non ce li hai per natura. E se uno ha sentimento non brucia un immigrato che dorme sulla panchina. Uno che ha sentimento non picchia un handicappato. Se uno fa queste cose non ha sentimento. Non l’ha imparato”.

A parte il fatto che i buoni sentimenti non si imparano, ma piuttosto si educano (se la natura ci ha fatto la grazia di concederceli), Galimberti non disdegna qui di unire l’utile al dilettevole, anzi dimostra che è questo il suo vero scopo, perché, mentre sta parlando di sentimenti in generale, corre subito a difendere l'immigrazione, introducendola nel discorso, con una forzatura gesuitica, per mezzo di un'osservazione del tutto fuori luogo. "Se uno ha sentimento, non brucia un immigrato". Ma che c'entra qui l'immigrato? Se uno ha sentimento, non ammazza nemmeno i genitori. Galimberti parla come se dare fuoco a un immigrato fosse diventato uno sport  popolare.  

Ma rimanendo alla pura teoria, o anzi, meglio, all'esperienza, se fosse vero che i sentimenti vengono dall'educazione e non dalla natura, l’uomo sarebbe perfettibile. Pur con estrema fatica, sarebbe possibile far diventare tutti buoni. Invece, nella realtà, lo studio e l’educazione sono come l’acqua sulle piante: sviluppano solo le qualità del seme. E la natura è molto avara di semi buoni. Non per niente Molière nelle Femmes savantes ha scritto: “E io vi garantisco / che uno sciocco istruito è ben più sciocco di uno sciocco ignorante”.

Il bello è che poi Galimberti, che procede a tentoni, dimenticando l’importanza attribuita alla letteratura, vorrebbe eliminare dalla scuola ‘I Promessi sposi’. “Io sono del parere per esempio che bisogna far smettere di leggere ai ragazzi i Promessi Sposi. Ve lo dico sinceramente. Perché, cosa succede? È un romanzo bellissimo, scritto in una maniera folgorante, una grande letteratura, ma non puoi dare a un ragazzo, a un ginnasiale, il messaggio che quello che conta nella storia lo fa la Provvidenza e tu non conti un tubo”.

E’ incredibile che queste stupidaggini ricevano tanti consensi e Galimberti sia considerato un maestro.

Intanto, quando lui dice che il romanzo di Manzoni è bellissimo, non si può credere nemmeno per un attimo che sia sincero. Se fosse sincero, saprebbe, o almeno sentirebbe, che la bellezza è già di per sé educativa, che il grande stile è educativo, che la verità dei personaggi è educativa. Ma tutto questo sfugge al nostro filosofo, che sicuramente si è annoiato a morte sulle pagine di Manzoni. Lo dimostra, tra l'altro, l'uso dell'aggettivo "folgorante", che non è proprio adatto ai Promessi sposi e che è buttato lì, con facile esagerazione, proprio per far credere a un'ammirazione di cui  Galimberti non può ammettere che si dubiti. L’unica cosa importante per lui è il ruolo negativo della Provvidenza. A rigore, seguendo il suo ragionamento laico e progredito, non bisognerebbe leggere nemmeno l’Iliade e l’Odissea, piene di divine falsità. Ma forse il laico progressista detesta più la divina Provvidenza, che è ancora attiva per i suoi tanti credenti, che non gli "dei falsi e bugiardi", ormai innocui.

Il repertorio di Galimberti è inesauribile e potrebbe riempire una enciclopedia. Quello che segue è, per ora, l'ultimo sproposito che porto come esempio. 

“L’apprendimento, lo dice Platone, avviene per via erotica. Noi stessi abbiamo studiato volentieri le materie dei professori di cui eravamo innamorati e abbiamo tralasciato quelli di [sic] cui non avevamo alcun interesse”.

Galimberti parla di allievi innamorati dei professori come di un fenomeno noto e diffuso. Ma in tanti anni di scuola, a me non è mai accaduto, né ricordo sia accaduto a qualche compagno di classe. Solo all’università ho sentito vagamente il fascino intellettuale di qualche docente. Ma Galimberti svaluta l’intelletto e considera tutta la gioventù chiusa e ferma in una condizione di pura emotività. Salvo rammaricarsi, in un altro monito, con l'abituale incoerenza, che oggi nessun giovane sia in grado di scrivere a 21 anni una poesia come L'Infinito di Leopardi o di fare scoperte come quelle fatte da Einstein a 24.  Quelli di Galimberti sono moniti estemporanei di pronto impiego, che non aspirano a organizzarsi in un sistema di convinzioni coerenti. Per ora lui resta persuaso che sia necessario introdurre nella scuola l'apprendimento per via erotica. Se l'ha detto anche Platone, dobbiamo crederci. Ma il Socrate immortalato da Platone nei suoi Dialoghi cerca con pazienza di convincere la mente dei suoi interlocutori, non di affascinarli facendo leva sulle emozioni.

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