Sul generale Roberto Vannacci e sulle sue idee politicamente scorrette, si sono precipitati in massa opinionisti di giornaloni e giornalini, sempre di guardia, come formiche-soldato, sulle mura della loro cittadella ideale, pronti a respingere con tutti i mezzi ogni attacco del nemico.
Nessuno di loro, naturalmente, è entrato nel merito delle
critiche. Se qualcuno lo facesse, non saprebbe cosa dire. Perciò usano tutti lo
stesso tono e le stesse parole: il generale è un odiatore e chi odia non può
fare il generale.
Aldo Grasso, critico televisivo
da una vita, nel suo sgrammaticato corsivo si chiede stupito “come sia possibile che le idee del generale vengano fuori solo adesso, dopo aver ricoperto ruoli
strategici di importanza fondamentale. Era riuscito a contenere le ossessioni?”.
Ossessioni! Le preoccupazioni
per le sorti di questo sgangherato paese sarebbero ossessioni. Quando questi chierici-guardiani non hanno argomenti con cui zittire un avversario, cercano di psicanalizzarlo per confonderlo e farlo crollare.
Povero Grasso! Ha guardato e studiato tutti i programmi televisivi degli ultimi
decenni e il suo viso è diventato liscio come uno schermo spento. Perciò si è ridotto ad ammirare la “divertita saggezza” di Rosario Fiorello, lo showman che all'inizio del confinamento per covid esortava gli italiani a farsi pecore, belando: "Io reeesto a caasa!". Il Bel Paese!
Anche il sedicente filosofo
Umberto Galimberti sdottoreggia. “L’odio non è un diritto ma un sentimento. E
chi nutre sentimenti di odio non può svolgere le funzioni che rivestiva questo
generale”. Non sono riuscito a trovare il filo logico di questo ragionamento, che sembra piuttosto una dichiarazione insensata,
come se uno, parlando a vànvera, dicesse che, siccome 'odio' e 'olio' si assomigliano, è
meglio oliare che odiare. Umberto Galimberti dimostra qui che in fatto di sentimenti è esperto solo a
metà (o forse appena al 25%), perché, dopo aver fatto la grande scoperta che l'odio è un sentimento, non gli passa nemmeno per l’anticamera del cervello l'idea che sarebbe necessario qualificare questo sentimento, ponendosi la domanda semplice ma essenziale: odio verso chi, verso che cosa? Un generale dell’esercito, se non vuole passare per un generale fellone, ha, poi, almeno, non solo il diritto ma addirittura il
dovere di odiare il nemico. Questo però è troppo sottile per il nostro filosofo.
Egregio Galimberti, la smetta con queste chiacchiere vuote e studi piuttosto i versi di Schiller: "Io peso i pensieri sulla bilancia della mia ira e valuto le opere con il metro della mia rabbia". E mediti sul proverbio: "Chi non ha sdegno, non ha ingegno". (Lo sdegno, naturalmente, è quello del generale Vannacci. Le parole di Galimberti, invece, sono soltanto un compito professionale assolto senza odio e senza amore: per questo gli è riuscito così male)
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