sabato 22 luglio 2023

Un pensiero di Arthur Schopenhauer sulla vita morale

 Lo stile di Schopenhauer è il più concreto ed espressivo che si possa desiderare da un filosofo; egli, inoltre, per il desiderio di farsi capire, torna così spesso a riassumere i suoi concetti, variandone la forma in modo interessante, che le sue pagine sono ricche di frasi incisive che si possono staccare facilmente e che, anche isolate, potrebbero da sole costituire la gloria letteraria di un moralista.

La riflessione che segue occupa il paragrafo 109 del secondo volume di Parerga e Paralipomena.

Schopenhauer considera un grandissimo errore pensare che il mondo abbia soltanto un significato fisico e nessun significato morale. Benché il sentimento di un significato morale del mondo e della vita sia più che sicuro, tuttavia finora è stato difficile renderlo chiaro e inconfutabile, e spiegare la misteriosa contraddizione tra quel significato morale e il corso reale del mondo. Solo la mia filosofia, afferma Schopenhauer, ha saputo chiarire quale sia il vero fondamento della moralità. Tuttavia, si rammarica Schopenhauer, finché le mie idee saranno disprezzate dai professori d'università, continuerà a valere il principio morale di Kant, che si presenta sotto forma della ‘dignità dell’uomo’, formula assolutamente vacua. Ma, oltre alla vacuità del suo significato, “il concetto di dignità mi sembra si possa applicare solo in modo ironico a un essere così colpevole nella volontà, così limitato nello spirito, così fragile e caduco nel corpo, qual è l’uomo. Perciò, in contrasto con la suddetta forma del principio morale kantiano (la dignità dell’uomo), vorrei stabilire la norma seguente: per ogni uomo che venga in contatto con noi, non si deve stabilire una sua valutazione oggettiva in base al valore e alla dignità, non si deve dunque considerare la malvagità della sua volontà, né la limitatezza del suo intelletto e la stoltezza dei suoi concetti…, bensì si miri soltanto alle sue sofferenze, alla sua miseria, alla sua angoscia, ai suoi dolori: allora ci si sentirà sempre affini a lui, si simpatizzerà con lui e, invece di odio o disprezzo, si proverà per lui quella compassione la quale soltanto è l’'agàpe' alla quale ci invita il Vangelo. Perché non nasca verso gli uomini né odio né disprezzo, il punto di vista appropriato non è la ricerca della loro presunta ‘dignità’, bensì all’inverso il punto di vista della compassione”. 

Questa riflessione è collegata con un importante passo del 'Mondo come volontà e rappresentazione' (libro quarto, paragrafo 66).
"Nè la dottrina morale, né la conoscenza astratta sono adatte a formare la vera virtù; questa può nascere solo dalla conoscenza intuitiva, la quale ci fa riconoscere nell'individuo estraneo la medesima essenza che è in noi. Se la virtù sorgesse dalla conoscenza astratta, comunicabile in parole, allora la virtù potrebbe essere insegnata. Invece non esiste predica morale che possa rendere virtuoso un uomo,  come non ci fu, da Aristotele ad oggi, nessuna teoria estetica capace di rendere qualcuno poeta".

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