Lo stile di Schopenhauer è il più concreto ed espressivo che si possa
desiderare da un filosofo; egli, inoltre, per il desiderio di farsi capire,
torna così spesso a riassumere i suoi concetti, variandone la forma in modo
interessante, che le sue pagine sono ricche di frasi incisive che si possono
staccare facilmente e che, anche isolate, potrebbero da sole costituire la gloria
letteraria di un moralista.
La riflessione che segue occupa il paragrafo 109 del secondo volume di
Parerga e Paralipomena.
Schopenhauer considera un grandissimo errore pensare che il mondo abbia soltanto un significato
fisico e nessun significato morale. Benché il sentimento di un
significato morale del mondo e della vita sia più che sicuro, tuttavia finora è stato difficile renderlo
chiaro e inconfutabile, e spiegare la misteriosa contraddizione tra quel
significato morale e il corso reale del mondo. Solo la mia filosofia, afferma
Schopenhauer, ha saputo chiarire quale sia il vero fondamento della moralità. Tuttavia,
si rammarica Schopenhauer, finché le mie idee saranno disprezzate dai
professori d'università, continuerà a valere il principio morale di Kant, che si presenta
sotto forma della ‘dignità dell’uomo’, formula assolutamente vacua. Ma, oltre alla vacuità del suo significato, “il concetto di dignità mi sembra si possa applicare solo in modo
ironico a un essere così colpevole nella volontà, così limitato nello spirito,
così fragile e caduco nel corpo, qual è l’uomo. Perciò, in contrasto con la
suddetta forma del principio morale kantiano (la dignità dell’uomo), vorrei
stabilire la norma seguente: per ogni uomo che venga in contatto con noi, non
si deve stabilire una sua valutazione oggettiva in base al valore e alla
dignità, non si deve dunque considerare la malvagità della sua volontà, né la
limitatezza del suo intelletto e la stoltezza dei suoi concetti…, bensì si miri
soltanto alle sue sofferenze, alla sua miseria, alla sua angoscia, ai suoi
dolori: allora ci si sentirà sempre affini a lui, si simpatizzerà con lui e,
invece di odio o disprezzo, si proverà per lui quella compassione la quale
soltanto è l’'agàpe' alla quale ci invita il Vangelo. Perché non nasca verso gli uomini né odio né disprezzo, il punto di vista appropriato non è la ricerca della loro presunta ‘dignità’, bensì all’inverso il punto di vista della compassione”. Questa riflessione è collegata con un importante passo del 'Mondo come volontà e rappresentazione' (libro quarto, paragrafo 66).
"Nè la dottrina morale, né la conoscenza astratta sono adatte a formare la vera virtù; questa può nascere solo dalla conoscenza intuitiva, la quale ci fa riconoscere nell'individuo estraneo la medesima essenza che è in noi. Se la virtù sorgesse dalla conoscenza astratta, comunicabile in parole, allora la virtù potrebbe essere insegnata. Invece non esiste predica morale che possa rendere virtuoso un uomo, come non ci fu, da Aristotele ad oggi, nessuna teoria estetica capace di rendere qualcuno poeta".
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