lunedì 20 febbraio 2023

Fëdor Dostoevskij. L’idiota. Einaudi, 1981

Ho trovato pochi romanzi noiosi e faticosi come questo. Ho resistito a leggere il libro fino alla fine solo perché ero sorpreso di vedere tanto delusa la mia aspettativa e perché volevo trovare una giustificazione valida per la mia delusione. In anni passati ho commentato su questo Blog qualche altro libro di Dostoevskij senza lasciarmi influenzare dalla famosa  stroncatura che Vladimir Nabokov aveva fatto dello scrittore nelle sue 'Lezioni di letteratura russa'. Anzi ho ammirato ‘Le memorie da una casa di morti’ e ho letto con interesse e simpatia (ammirazione, no) ‘Umiliati e offesi’. Vittorio Strada nella sua ricca prefazione scrive che ‘L’idiota’ “ad ogni lettura sorprende e affascina per la sua viva singolarità nel romanzo europeo”, e prosegue affermando che si tratta di “un romanzo che avvince e sgomenta, ipnotizza e provoca, un romanzo insieme luminoso e tenebroso”. Alla dottrina che Strada profonde nelle sue pagine posso muovere una sola obiezione: la sua non è critica letteraria. E’ riflessione filosofica, è discorso culturale, è analisi di motivi mistici e religiosi, ma non è una valutazione letteraria aderente al testo. Mi sento di affermare che il testo, in quanto narrazione di fatti compiuti da persone, è insopportabilmente noioso, che i personaggi sono quasi tutti improbabili ed evanescenti, e che i fatti di cui si parla sono normali o anche mediocri episodi della vita comune descritti (quasi sempre indirettamente, cioè attraverso i discorsi dei vari personaggi) in modo troppo prolisso e che sono caricati di significati profondi in modo artificioso.  Una critica di Nabokov ai romanzi di Dostoevskij è che in essi manca una descrizione fisica che caratterizzi bene i personaggi e gli ambienti in cui si muovono. Gli ammiratori dello scrittore russo affermano, invece, che una descrizione fisica dei personaggi non è necessaria, perché essi sarebbero caratterizzati da motivi etici o quanto meno interiori. Ma a me pare che questa caratterizzazione ‘dall’interno’ riesca bene, qui, solo in un caso: quello del bugiardissimo generale Ardaliòn Aleksàndrovič Ivolgin, che, nel suo ultimo eroico sproloquio, si vanta di essere stato da bambino, a Mosca, paggio di camera di Napoleone. Forse anche un altro personaggio, anch'esso di secondo o terzo piano come il generale, è ben caratterizzato: Lukiàn Timofeič  Lebedev, ubriacone versatile, untuosamente servizievole, enfatico ingannatore, che di sé dice ripetutamente, quasi vantandosi: "Sì, io sono un uomo abietto". Gli altri personaggi sono delle figurine, degli esseri appena abbozzati, oppure dei semplici nomi che sono come una etichetta per dare una parvenza di persona a dei problemi, o - per dire forse meglio - a delle problematiche molto astratte. Un unico particolare mi ha colpito per la sua tragica materialità. Nastas'ja Filìppovna, l'eroina quasi sempre assente, alla fine del romanzo viene uccisa: "spuntando di sotto al lenzuolo, si disegnava la punta di un piede nudo: pareva scolpito nel marmo ed era spaventosamente immobile".

Nabokov afferma un concetto che anche per un modesto cultore delle lettere dovrebbe essere una ovvietà: che in un’opera d’arte non è indispensabile che i personaggi siano realistici per essere veri, debbono però essere ‘plausibili’. Questo aggettivo è stato ingenuamente frainteso da una entusiasta ammiratrice di Dostoevskij, molto attiva sul canale Youtube, che in un lungo video, con il quale pretende di smontare le critiche di Nabokov, chiede: “Ma chi gliel’ha detto, a Nabokov, che i personaggi debbono essere plausibili? Se fosse così, allora ‘Il maestro e Margherita’, dove c’è un gatto che parla, sarebbe fuori della letteratura e fuori dell'arte". L’ammiratrice di Dostoevskij, che si dimostra tanto ferrata quanto ingenua, crede evidentemente che 'plausibile' sia  sinonimo di 'realistico'. Non le è venuto in mente che i personaggi, per esempio, delle 'Avventure di Pinocchio', pur essendo  fantastici e irreali, sono tutti plausibili, cioè artisticamente vivi e coerenti. Non si può dire altrettanto dei personaggi de 'L'idiota', che fra gli altri difetti, hanno anche quello molto irritante di scoppiare troppo spesso, all’improvviso e senza apparente motivo, pur nell’ambiente cupo in cui vivono, in sonore risate, che aumentano il senso di irrealtà. Inoltre l'ammiratrice in questione, che si dichiara amante delle letterature di tutti i paesi e di tutti i tempi, crede ingenuamente che le descrizioni di paesaggio non facciano parte del quadro ma siano soltanto una cornice facoltativa. Infatti dice che, se Dostoevskij si fosse impegnato a descrivere anche il paesaggio, i suoi romanzi, già molto lunghi, sarebbero stati ancora più lunghi. La mancanza del paesaggio, invece, non è senza conseguenze e contribuisce a creare quell’atmosfera irreale di chiusura e di cupezza che si avverte in tutto il romanzo, dove l'azione, costituita quasi esclusivamente da infinite conversazioni e da discorsi lunghissimi, si svolge solo all'interno delle case dei vari personaggi. Perfino una rarissima nota paesaggistica, proprio alla conclusione, è tale che rafforza l’impressione della mancanza d’aria: “La polverosa e soffocante Pietroburgo dei mesi estivi serrava il principe come in una morsa”. C’è solo un momento in cui sembra di poter respirare liberamente: il principe “scese sotto il portone, uscì sul marciapiede e si meravigliò della gran folla di gente che, al tramonto del sole (come sempre a Pietroburgo nei giorni canicolari), si riversava per le strade”.

Riguardo alla profondità di Dostoevskij, io non la nego in assoluto. Trovo anzi che sia particolarmente interessante nelle 'Memorie dal sottosuolo'. Ma penso che la frase del principe Myškin "la bellezza salverà il mondo" (tanto citata per la sua 'profondità') sia solo una bella e vuota frase ad effetto. Non solo la bellezza non salverà il mondo, ma sarà travolta e soffocata dal mondo. La bruttezza ci avvolge sempre di più e, cosa davvero tragica, la gente non la sa riconoscere, molto spesso anzi l'ammira e quasi sempre ci si abitua velocemente. Per reagire alla bruttezza bisognerebbe avere lo stesso senso morale e lo stesso coraggio necessari per combattere i politici corrotti e malvagi. Ma è proprio questo il problema più drammatico del nostro tempo, così difficile da risolvere. Io credo che solo il dolore potrà, non dico salvare il mondo, ma almeno spingere gli uomini a reagire alle forze del male.

 

 

 

 

 

 



 

Nessun commento: