La proclamazione dell’autonomia dell’arte è un evento che ha conseguenze gravissime. E la nuova bellezza dell'arte autonoma consiste, per i suoi cultori, prevalentemente in ciò che è interessante. L’interessante diventa una categoria prediletta dell’estetismo, ma questa categoria dell’interessante si può riferire solo a valori di rango inferiore (un sistema di illuminazione è interessante, ma il sole non lo è; una ricetta culinaria è interessante, ma il pane no). Nel momento in cui la nuova estetica proclama l’assoluta autonomia della sfera artistica e chiede all’artista che faccia dell’arte ‘pura’, l’artista viene degradato al livello di produttore specializzato di una merce della quale vi è poca richiesta e della quale nemmeno una propaganda senza scrupoli riesce ad aumentare molto il fabbisogno. I tratti costitutivi dell’artista ‘interessante’ sono stati fissati da Kierkegaard, e sono: il giocare con le possibilità, l’ironia e la malinconia. La possibilità ha un aspetto più seducente della realtà, è esteticamente superiore alla realtà. L’artista che gioca con le possibilità non disdegna nulla, neppure le cose più insignificanti, ma per lui, d’altra parte, nulla ha consistenza, neppure le cose più importanti. L’ironia è il libero librarsi al di sopra della propria vita, il gioco infinitamente lieve col Nulla. La malinconia è l’incapacità di volere con risolutezza l’unica cosa che è necessaria. La malinconia impedisce all’uomo di ritrovare se stesso. L’artista malinconico vive continuamente nell’atteggiamento dell’emigrante, di chi emigra dalla realtà nell’esteticità. E Kierkegaard conclude: “Ogni condotta estetica della vita è, in fondo, disperazione”. Nei primi decenni del ‘900, l’arte ‘pura’, distaccata dalla realtà e divenuta inerte e priva d’impulso, è afferrata dalla forza d’attrazione di una nuova tendenza: la tecnica moderna, che allora appunto sta raggiungendo la sua prima perfezione e che aspira alla ‘totalità’. Tutte le arti vogliono conformarsi a questa nuova grande potenza, nella quale si scorge erroneamente una potenza ‘spirituale’. L’aspirazione alla ‘purezza’ cerca la propria realizzazione nella ‘geometria pura’, ma la purezza della geometria non è una purezza artistica. L’architettura del ‘900 ha portato al predominio di materiali che fino allora avevano avuto scarso rilievo nella costruzione (ferro e vetro) e ad un nuovo materiale e a nuove combinazioni (cemento e cemento armato), che diventeranno molto importanti. Ma non è possibile spiegare con il predominio di questi materiali l’essenza della moderna architettura tecnica. I materiali non possono determinare i fenomeni artistici; essi non sottraggono all’architetto il compito della decisione artistica. Il nuovo idolo costituito dalla costruzione tecnica è in grado di influenzare anche la poesia. Non si parla più di ‘creatività’, ma di ‘composizione’ e di ‘costruzione’. La ‘costruzione’ è concepita come una supercreazione, in confronto alla quale la vecchia creatività dell’artista appare come una specie di timido e imperfetto mestiere. La creazione impegna tutte le forze dello spirito e del corpo, coinvolge tutto il misterioso mondo interiore ed esteriore dell’uomo, è libera e insieme legata alla realtà umana, percepisce ed obbedisce. La costruzione invece si propone di creare dal nulla, e in ciò fallisce, perché le mancano il rapporto con la totalità dell’uomo e il sentimento dell’unità della natura. Nella costruzione conta soltanto il primo momento, il progetto, che può essere poi sviluppato in un calcolo automatico, come un’espressione aritmetica. L’artista è cambiato: è diventato per metà ingegnere e per metà una specie di automa. La rivolta moderna contro la creazione artistica è una rivolta contro l’essenza e il mistero del mondo umano. La pura pittura e la pura scultura, distaccate dall’uomo e dalla natura, non hanno compiti da assolvere. Esse lasciano un immenso margine di libertà alla fantasia ‘soggettiva’ dell’artista. Più del novanta per cento delle loro creazioni nascono per le esposizioni.
Tralascio di riassumere i capitoli finali sul surrealismo e sull’espressionismo. Sono interessanti, ma portano, mi pare, alle stesse conclusioni già dichiarate da Sedlmayr per altri movimenti e forme artistiche moderne. Sarebbe sbagliato considerare Sedlmayr un misoneista che rifiuta tutta l’arte moderna. Egli considera che l’arte moderna tra virgolette, cioè quella che ambisce alla purezza assoluta, abbia troncato di netto la continuità con l’arte antica e si sia esclusa dall'arte vera; però Sedlmayr salva l’arte che, pur nata in seno alla rivoluzione modernista, ha lottato con quell’arte che non voleva più essere tale. Essa nasce dalla sostanza e dallo spirito dell’arte antica ed eterna, attraverso una trasformazione e una sublimazione artistica di pensieri, intuizioni, forme, nate dalla rivoluzione. Quest’arte la si riconosce dal fatto che si preoccupa veramente di adattare in modo sensato la forma visibile e il significato, la forma e la destinazione dell’opera d’arte; dal fatto che si rifiuta di assoggettarsi a potenze non artistiche, che non rinuncia al contenuto umano, che riconosce un ordine universale e ad esso si subordina, che non si sottomette alle esigenze totalitarie dell’epoca moderna. E Sedlmayr conclude con una citazione non disperata di Friedrich Schelling: “Non gli spiriti deboli, trascinati da qualunque vangelo di una nuova epoca, ma gli spiriti forti, fedeli anche al passato, sono in grado di dare origine al vero futuro”.
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