martedì 24 gennaio 2023

David E. Stannard. Olocausto americano. La conquista del Nuovo Mondo. Torino, Bollati Boringhieri, 2001


 "Predoni di giorno, criminali di notte, assassini del mondo" 
(così i Maya definirono i conquistatori spagnoli)

Questo importantissimo libro sul genocidio dei popoli nativi compiuto da spagnoli, inglesi e coloni americani è apparso negli Stati Uniti trent’anni fa. L’autore cita un gran numero di opere pubblicate nel suo paese sui vari aspetti di quello sterminio; e da questa abbondanza di pubblicazioni si può forse dedurre che la vita e la morte degli indiani d’America siano state (e immagino siano ancora) dei soggetti studiati e dibattuti. Ciò fa onore ai numerosi  intellettuali statunitensi che tengono viva la coscienza di un problema e di una colpa che tutti i settori della vita pubblica e larghissima parte del popolo americano tendono invece a soffocare e ignorare.

Lo sterminio degli indiani delle Americhe, afferma ripetutamente l’Autore, è stato di gran lunga il più grave genocidio della storia del mondo. I modi della distruzione furono le violenze dirette, le malattie e i maltrattamenti. L’Autore critica quegli studiosi che si sono concentrati quasi esclusivamente sulla malattia, attribuendo la responsabilità di uno sterminio di massa solo a un esercito di microbi invasori. Questi studiosi suggeriscono che l’eliminazione di quelle decine di milioni di persone non sia stata intenzionale, ma piuttosto una triste, inevitabile e involontaria conseguenza delle migrazioni e del progresso dell’uomo. In realtà la distruzione dei pacifici, leali e gentili popoli nativi e delle loro civiltà, spesso molto progredite, non fu né involontaria né inevitabile. Un piccolissimo esempio, fra i tanti, della intenzionalità del massacro: nel 1876, per il centenario della nazione americana, il principale intellettuale del paese, William Dean Howells,  compose un saggio in cui espresse apertamente il suo sussulto di orgoglio patriottico per invocare lo sterminio dei pellerossa delle pianure. “Il pellerossa… è un orrendo demonio, i cui tratti maligni difficilmente ispirano sentimenti più gentili della ripugnanza […] Forse non teniamo sufficientemente conto di quanto sia avvilente guardare quelle facce selvagge false e senza pietà; la farina ammuffita e il manzo marcio devono sembrarci fin troppo buoni per loro”. E i governativi passavano agli indiani coperte infette di vaiolo.

Una condizione indispensabile, per spagnoli e angloamericani, per uccidere con tranquillità d'animo i popoli nativi delle Americhe, fu di considerarli come esseri costituzionalmente inferiori. Per i conquistatori spagnoli, che avevano bisogno di mano d'opera per le miniere e i campi di cui si erano appropriati, gli indiani erano schiavi naturali, vere bestie da soma subumane. Ai coloni britannici, e successivamente agli americani, la schiavitù indiana invece non serviva, ma volevano solo la loro terra, perciò giustificarono il genocidio ricorrendo ad un razzismo che aveva le sue radici nel cristianesimo: gli indiani erano assistenti di Satana, erano selvaggi della foresta, lascivi e assassini, erano orsi, lupi, insetti dannosi. Poiché gli indiani avevano mostrato di rifiutare la conversione al cristianesimo o alla vita civile, ed erano poco utili come schiavi, sterminarli era considerata l’unica soluzione possibile.

Il libro di Stannard è un’opera ampia e complessa. Come libro di storia, arriva fino al tempo presente, perché il genocidio, nelle Americhe così come in altri luoghi del mondo dove i popoli indigeni sono sopravvissuti, non è mai cessato veramente. L'autore cita, fra gli altri, il caso del Guatemala, dove dal 1970 al 1985, quarantamila persone sono semplicemente scomparse; e altre centomila erano state assassinate in precedenza. Questa terribile strage nei confronti dei popoli maya fu compiuta dal Governo guatemalteco con il consenso e il sostegno finanziario del Governo degli Stati Uniti.

Ma il libro di Stannard è anche un libro di filosofia, perché egli ricerca le radici sociali, culturali, religiose, psicologiche delle concezioni razziste e della sfrenata volontà di potere e di arricchimento che hanno spinto i conquistatori del Nuovo Mondo e i coloni americani alla distruzione degli indiani e a giustificare quella impresa infame come legittima e naturale davanti alla propria coscienza.

Stannard conclude il libro con amara ironia. Cristoforo Colombo, durante il viaggio di ritorno dalla sua prima spedizione, scrisse una lettera ai sovrani spagnoli per raccontare le sue imprese. Dopo aver cercato segni di ricchezze, prìncipi e grandi città sulle coste delle isole incontrate, Colombo aveva deciso di inviare due uomini nell’entroterra. “Viaggiarono per tre giorni, scrisse, e trovarono moltissimi piccoli villaggi e innumerevoli persone, ma niente di importante”. Innumerevoli persone, ma niente di importante. Sarebbe diventato un motto per i secoli a venire.


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