mercoledì 4 gennaio 2023

Hans Sedlmayr (1896-1984). La rivoluzione dell'arte moderna. Garzanti, 1960. Prima parte

Mi limito a fare un riassunto di questo libro piccolo ma molto denso. L'argomento è complesso; io, anche se incompetente, condivido le idee dell'autore.

Criticare significa distinguere, e il compito che noi ci assumiamo è di distinguere ciò che è genuino da ciò che è falso. Nell’<arte moderna> c’è una notevole quantità di manifestazioni che non hanno nulla a che fare con le vere istanze dell’arte, ma che vengono assimilate ad essa solo superficialmente, per il desiderio di mostrarsi “all’altezza dei tempi”, di conquistare una fama a buon mercato e di far soldi. Nel nostro secolo, più che in ogni altro (già il numero degli ‘artisti’ è un delitto), per l’irresponsabilità e l’avidità di un certo mercato d’arte e per l’incapacità di giudizio di gran parte della stampa quotidiana, l’autentico è soffocato dal falso; vi è anzi un forte interesse a confondere i limiti fra l’autentico e il falso o addirittura a dichiarare inconoscibili quei limiti. Tuttavia i criteri di distinzione esistono, naturalmente: nell’opera non genuina (come nel sentimento non genuino) la forma e l’espressione sono determinate dal di fuori, da motivi esterni che non sono fecondati dallo spirito dell’artista. Noi, qui, non ci curiamo di questa produzione. Noi vogliamo studiare l’arte moderna stando fuori e lontano dall’ atmosfera di un mondo "dove prevale un ottimismo artificiale, tanto sfacciato quanto impotente; con la sua tolleranza, più noncurante e scettica che in ogni altro tempo; con la sua tendenza ad assaggiare ogni cosa, purché tutto abbia prima perduto ogni significativa consistenza e ogni rigore di responsabilità; con la sua fregola dilettantesca di artificiosi esotismi, di meccanicismo inanimato, di stupidaggine elevata a simbolo supremo, di una spiritualità nichilista accoppiata all’adorazione asiatica dell’orrido; con la sua indifferenza piatta e stanca della vita, basata su una teoria fatalistica del progresso, la quale si sviluppa nella visione beatificante di una società artificiosamente resa solidale e normalizzata, nella visione di un homunculus collettivizzato" (Vjačeslav Ivanov, 1866-1949). Noi semplicemente disprezziamo queste scimmiottature dello spirito del nostro tempo, anche se il numero di coloro che le adottano è legione. Uno dei principali motivi dell’<arte moderna> è l’aspirazione di ciascuna arte ad essere completamente ‘pura’ o ‘assoluta’, cioè priva di elementi o di ingredienti di tutte le altre arti. L’architettura, per essere pura, esige l’espulsione di tutti gli elementi pittorici, ornamentali e antropomorfi; essa vorrebbe addirittura essere priva di scopo pratico. Quest’ultimo passo l’architettura, per motivi comprensibili, non può compierlo. Tuttavia gli si avvicina molto là dove lo scopo non è preso sul serio, ma diviene un pretesto per realizzare idee ‘puramente architettoniche’. L’architettura moderna si è liberata della colonna – opera dello spirito greco, una delle più grandiose invenzioni dello spirito umano. La colonna non aveva solo una funzione materiale. Essa è anche, e soprattutto, una elevata forma di dignità e l’autentico simbolo di un comportamento spirituale universale, di quella stessa posizione eretta che innalza e distingue l’uomo. Nel XIX secolo, epoca nella quale furono liquidati i simboli e i segni distintivi della dignità, la colonna fu vista solo come un sostegno materiale e sostituita con il pilastro quadrangolare. Ma la pura colonna è il connubio più sublime che si possa immaginare di valori architettonici e plastici, di spirito e corpo, di logos e mito. Con la colonna, sostituita dal pilastro quadrangolare, è scomparso uno dei principali simboli della sfera umana, il simbolo della posizione eretta. Ma l’architettura, che pretendeva di svincolarsi da ogni condizionamento esterno, non è diventata veramente autonoma, ma è passata sotto il dominio di un nuovo condizionamento, quello della geometria. C’è qualcosa di tragico nel fatto che già il primo tentativo, compiuto da un ramo dell’arte per rendersi autonomo, sia subito fallito. Sorge spontanea la riflessione che anche la grande rivoluzione francese ha posto ben presto l’individuo liberato sotto un nuovo e più crudele sovrano: lo Stato assoluto della democrazia popolare giacobina.

Anche la pittura astratta è pittura ‘pura’, cioè liberata da elementi di tutte le altre arti. Per esempio, viene eliminato l’elemento architettonico del quadro, cioè la distinzione di ‘alto’ e ‘basso’. La predilezione della pittura moderna per il mondo instabile del sogno e per la percezione piuttosto che per la rappresentazione è determinata anche da questa avversione per l’elemento architettonico.

Questo processo porterà la pittura moderna a rinunciare alla rappresentazione del mondo reale, per essere una composizione di puri colori e forme su una superficie. Infatti essa mira non solo ad abolire la rappresentazione degli oggetti, ma anche, in parte, ad abolire il significato. Una parte dell’arte astratta vuole offrire ancora significati; l’altra parte non lo vuole più. Ma in pratica le due tendenze si fondono. I significati offerti dalla prima tendenza (per esempio, una combinazione di triangoli blu e di un disco giallo intitolata, con buon diritto artistico, ‘Notte di luna’) non sono, per lo più, obiettivi e universalmente validi, ma valgono solo per la fantasia soggettiva dell’autore. Ora, questa vaghezza, questa indeterminatezza è qualcosa che l’arte moderna per l’appunto predilige e ricerca; l’indeterminato è per essa un valore. Ma se, al posto del disco rotondo giallo, vi fosse una figura quadrata, sarebbe difficile per l'osservatore ricavarne l’immagine di una notte di luna; e a nulla servirebbe che l’autore dell’opera assicurasse che egli ‘sente’ la luna come qualcosa di ‘quadrato’. 

(continua al post successivo)
 

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