giovedì 29 dicembre 2022

Vasilij Grossman (1905-1964). Vita e destino. Romanzo. Milano, Jaca Book, 1998. Quarta parte


 

Štrum, che pure in passato era così orgoglioso del proprio coraggio, della propria rettitudine, che derideva coloro che si dimostravano deboli e pavidi, è lasciato in questa angoscia da Grossman, che si limita a fare una filosofica considerazione: “Tutti hanno momenti di debolezza, i peccatori come i giusti. La differenza è che l’uomo da poco, compiuta una buona azione, ne va fiero per tutta la vita, mentre il giusto non si accorge del bene che fa, ma ricorda per sempre un peccato commesso”.

Alla conclusione del romanzo, la vita di tutti i personaggi sopravvissuti alla grande battaglia rimane in sospeso. Novikov viene denunciato da Getmanov, suo commissario politico e viene lasciato da Ženja, la donna che lui ama. Anche lei lo ama, ma sente di avere il dovere di assistere il suo primo marito, Krymov, l’onesto bolscevico ortodosso che ora è detenuto alla Lubjanka con l’accusa pretestuosa di essere trockista. Il giudice istruttore che lo interroga in carcere ha sul tavolo una cartella dove sono registrati ogni gesto compiuto e ogni parola detta da Krymov, anche in privato e in confidenza. “L’intera sua vita, entrando in quella cartella, aveva perso consistenza, durata, proporzione... tutto si scioglieva in una grigia, collosa pasta, e lui per primo, ora, non sapeva cosa contasse di più: se quattro anni di lavoro clandestino incessante a Shangai, la missione a Stalingrado, la fede rivoluzionaria, o qualche parola di stizza scagliata contro lo squallore dei giornali sovietici, confidata nel sanatorio ‘I pini’ a un semisconosciuto insegnante di letteratura”.

La buona fine riguarda solo la città di Stalingrado. Nel novembre del 1943 i russi passano all’attacco e iniziano la manovra di accerchiamento della  6^ Armata di von Paulus. Un soldato russo legge il comunicato che annuncia l’avanzata dell’Armata rossa. “La gente stava in piedi e piangeva. Un vincolo invisibile e struggente la univa a quei ragazzi che, riparandosi il viso dal vento, marciavano ora nella neve, e a quelli che vi giacevano privi di vita e coperti di sangue. Le donne e i vecchi piangevano, piangevano gli operai e i bambini, che con espressione adulta ascoltavano la lettura del comunicato”.

Si compie finalmente la giustizia della storia. “Il colonnello Darenskij, guardando i carri armati e i cannoni tedeschi accartocciati in mezzo alla steppa coperta di neve, i cadaveri congelati, i prigionieri che si trascinavano, sotto scorta, verso est, si sentì l’animo scosso da un’emozione indefinita. Era una sorta di nèmesi”. Al loro arrivo in Unione Sovietica, più di un anno prima, i tedeschi deridevano la povertà delle isbe russe, guardavano con sorpresa e disgusto le culle rudimentali dei bambini, le stufe, le pentole, le immagini alle pareti, le tinozze, i galli di terracotta: il mondo caro e meraviglioso nel quale nascevano e crescevano i bambini destinati a fuggire davanti alle loro armi criminali.

Grossman scrive con una prosa marmorea una sentenza di condanna del nazismo che riscatta tutte le vittime. “Non sarà un giudice celeste, puro e misericordioso, né un saggio tribunale statale supremo, che mira al bene dello Stato e della società, non sarà un uomo santo né un uomo giusto a proclamare la condanna del nazismo, ma un essere misero distrutto dal terribile potere dello Stato totalitario, un uomo che è caduto, si è piegato, ha avuto paura e si è sottomesso. Egli dirà: ‘Di questo mondo spaventoso esistono i colpevoli! Tu sei colpevole!’ ”.

Dopo la resa dei tedeschi, Stalingrado torna a vivere. “Ora dai camini usciva il fumo della pace, accanto ai rifugi era stesa la biancheria ad asciugare e giocavano i bambini. Dalla guerra era sorto un mondo: cencioso, povero, duro quasi come la guerra. Davanti ai negozi improvvisati negli scantinati c’era gente in coda con dei recipienti. I prigionieri rumeni frugavano pigramente tra le pietre delle rovine e disseppellivano i cadaveri. In molti posti erano accatastate tavole di legno nuove, travi, sacchi di cemento. Cominciava ad affluire materiale per la ricostruzione. Qua e là venivano riasfaltate le strade”.

Grossman non parla mai di Dio e non crede nei sistemi filosofici e politici, come il comunismo, che promettono la felicità in terra. Queste promesse di bene universale sono minacciose e portano sempre all’odio e all’oppressione. L’unico vero bene che esiste e che sia praticabile è la bontà quotidiana del singolo individuo. E’ la bontà della vecchia che porta un pezzo di pane a un prigioniero, la bontà del soldato che dà da bere dalla sua borraccia al nemico ferito, della gioventù che ha pietà della vecchiaia, è la bontà del contadino che nasconde nel fienile un vecchio ebreo. Questa bontà privata del singolo individuo nei confronti di un suo simile è senza testimoni, è una piccola bontà casuale e senza ideologia; ma essa è eterna e finché esisterà, il male più potente è senza forza quando lotta con l’uomo. Gli uomini che praticano questa piccola bontà irradiano luce.

 

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