Tutto il romanzo è ispirato da un profondo e dominante sentimento patriottico, ma la prosa di Grossman ha tanti registri. Il suo spirito vuole abbracciare ogni cosa, ed egli, aiutato da una infinita pazienza, osserva tutto con capillare meticolosità. Se Grossman fosse un musicista, direi che egli sa suonare a meraviglia tutti gli strumenti dell’orchestra. Come scrittore vuole descrivere una realtà vastissima e passa dal comico all’erotico (solo qualche guizzo), dal sentimento d’amore e dalla analisi intimistica alla piatta precisione di un diario quotidiano, dalla caricatura e dalla satira al tono lirico, drammatico e tragico, dallo spirito filosofico e saggistico al tono evangelico e biblico.
Il generale Gur’ev pensava che Lev Tolstoj avesse combattuto di persona contro Napoleone e che quindi ‘Guerra e pace’ fosse un’opera scritta da un testimone oculare. Krymov gli spiega che quando Napoleone aveva invaso la Russia, Tolstoj non era ancora nato. “Non era nato?” si stupì Gur’ev, “Come sarebbe che non era nato? Eh? Cosa vuol dire?”.
Glafira Dmitrevna, l’anziana dell’appartamento in cui abitava anche Ženja Šapošnikova, era una persona opprimente e la tormentava in maniera insopportabile. I suoi occhi erano molli come olive marce.
Il generale Neudobnov, subordinato di Novikov, conosceva a memoria le opere di Lenin e di Stalin. Durante le discussioni soleva dire: “Il compagno Stalin, ancora nel XVII congresso...”, e citava. Di qualsiasi cosa si parlasse, della nazione cinese, del clima siberiano o della superiore bellezza delle bionde, mai nei suoi giudizi Neudobnov si scostava dal conformismo più scialbo. Eppure, nonostante avesse uno spirito piatto e burocratico, Grossman gli attribuisce questa delicata e intima emozione. Neudobonov si sentiva perduto senza il suo comandante Novikov. “In sua assenza aveva provato la stessa emozione che provava da bambino quando i genitori andavano fuori e lui restava padrone della casa; ne era felice, ma appena la porta si richiudeva, ogni ombra gli sembrava un ladro, e allora si precipitava dalla porta alla finestra, e impietrito stava con le orecchie tese, tirava su col naso per sentire se non ci fosse odore di bruciato, di fumo d’incendio”.
Il lirismo di Grossman nasce quasi sempre dall’amore per la sua terra e per la sua gente. “Poco distante siedono i soldati: gli addetti alle comunicazioni, i telefonisti, gli scrivani, e nei loro visi estenuati, nei loro occhi, c’è l’espressione sacrale del contadino quando consuma il suo pezzo di pane”.
“Quel bosco e i laghi respiravano la vita dell’antica Russia. Qui, tra i laghi e i boschi, si dispiegavano antichi sentieri, e con il legno di quelle foreste erano state costruite case, chiese, levigati gli alberi per le navi”.
La sensibilità lirica di Grossman, però, non è esclusivamente di natura patriottica, ma è universalmente umana. Lo scienziato Štrum, uno dei personaggi più importanti del romanzo, innamorato segretamente della moglie del suo collega Sokolov, si rallegra quando vede “la sottile figura, il caro viso” di Mar’ja Ivanovna.
Vera Spiridonova è una ragazza che ha partorito da poco. “Per il fatto che il bambino ora stava posato sul suo petto, a Vera sembrava che i suoi pensieri fossero cambiati, che il suo rapporto con la gente fosse cambiato, che fosse cambiato il suo corpo”.
Non saprei giudicare lo stile di Grossman, di cui certamente questa traduzione può dare solo una pallida idea. Però mi sembra inconfutabile che egli sia un grande narratore capace di creare dialoghi freschi e spontanei degni della bella tradizione russa, di costruire personaggi veri e indimenticabili e di costruire scene di massa che hanno il rilievo e la forza di un quadro.
Ecco le rovine di una casa di Stalingrado. “Da lontano i rossi cumuli di mattoni parevano enormi pezzi di umida carne fumante, i soldati tedeschi grigio-verdi, come insetti ronzanti e eccitati pullulavano tra i blocchi di mattoni di quella casa desolata”.
Un personaggio molto emblematico è Dementij Trifonovič Getmanov, commissario politico aggregato al corpo comandato da Novikov. E’ un perfetto dirigente di partito: arrogante, allegro e di modi gioviali, ipocrita, crudele e alla fine delatore del suo stesso comandante.
“La fiducia del partito! Getmanov conosceva la grande importanza di queste parole. Il partito gli dava la sua fiducia! Tutto il lavoro della sua vita, in cui non c’era stato posto per grandi libri, né per scoperte famose, né per lotte epiche, era stato un lavoro enorme, costante, perseverante, capillare, perennemente intenso, insonne”. Le sue decisioni, in qualsiasi campo (orfanatrofi, biblioteche, fabbriche, università) dovevano essere compenetrate dello spirito e degli interessi del partito. "Appena prendeva lui in mano le redini del discorso, la gente cominciava a ridere e la sua lingua viva, semplice, le paroline grasse che inseriva di tanto in tanto, cancellavano in un batter d’occhio la differenza che separa il segretario del comitato regionale dall’operaio sporco in tuta da lavoro... Ma la cosa più stupefacente era che Getmanov pareva sempre assolutamente sincero sia quando sottraeva gli ultimi grammi di grano ai contadini delle fattorie collettivizzate, sia quando abbassava la paga ai lavoratori, sia quando aumentava i prezzi al minuto, e anche quando parlava tutto comprensivo con le donne del villaggio e le compativa per la loro vita dura”. Quando, a Stalingrado, Getmanov diventa commissario politico nell’esercito, subito comincia a parlare con la solita ostentazione di competenza della qualità del combustibile, del consumo dei motori e della tecnica di combattimento dei carri armati, della cooperazione con la fanteria, del servizio medico in battaglia, della psicologia del carrista e di cento altri problemi militari.
Questo è il tipo di politico opportunista e servile che affligge anche oggi la nostra vita pubblica.
(continua al post successivo)
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