sabato 8 ottobre 2022

Antony Beevor. Stalingrado. La battaglia che segnò la svolta della Seconda guerra mondiale. BUR - Corriere della sera, 2022

La battaglia di Stalingrado durò sei lunghi mesi e segnò l’inizio della ritirata tedesca. Il costo in vite umane e in distruzioni fu enorme. Queste sono cose largamente conosciute. Il libro di Antony Beevor, 467 pagine, racconta in dettaglio tutte le operazioni militari di quella atroce battaglia, combattuta negli ultimi mesi con un freddo micidiale. A dire il vero, questi dettagli, per un lettore generico non particolarmente interessato a ogni azione strettamente militare, sono fin troppo precisi e sono difficili da seguire. Ma Beevor racconta anche la vita dei soldati sia tedeschi che sovietici, citando brani dalle loro lettere alle famiglie e da molti libri di memorie; e narra molti episodi di eroismo, di viltà, di ferocia, di compassione, di miseria. Il libro sembra sostanzialmente equilibrato nell’esprimere comprensione sia al popolo tedesco che ai popoli sovietici. In realtà Beevor manifesta una maggiore affinità con i soldati e col popolo tedesco. Per lui i soldati tedeschi, che qui rappresentano l’intero popolo, sono vittime quasi innocenti di un colossale inganno perpetrato da Hitler e dai suoi gerarchi. Gli stessi generali dell’esercito, incapaci per servilismo o per ambizione di opporsi a Hitler, hanno una colpa solo di secondo grado. Ma William Shirer, nel suo ‘Diario di Berlino’, scriveva, alla fine del 1945, che i tedeschi “non hanno alcun senso di colpa e non provano rimorsi. La maggior parte dei tedeschi pensano semplicemente di essere stati sfortunati […] E non si deve dimenticare che questi criminali, coi loro disegni brutali e disumani erano gli eroi di questa terra tragicamente segnata dal destino. Folle intere li applaudivano per le strade. Gli operai li applaudivano nelle fabbriche. L’intera nazione tedesca li aveva seguiti non solo disciplinatamente, ma con entusiasmo”. Secondo Shirer, anche il processo di Norimberga, per la maggior parte dei tedeschi, era solo un atto illegale e propagandistico. Nemmeno nei confronti dei russi e degli altri popoli sovietici la perspicacia di Beevor è molto profonda. Sì, egli parla della loro atavica infinita capacità di sopportare ogni dolore, cita degli episodi in cui contadine russe aiutano dei soldati tedeschi per pura compassione; però non sa spiegare in che cosa consista la forza di resistenza dei soldati dell’Armata Rossa. Parla della disciplina rigorosissima e persino feroce instaurata dal governo di Stalin, ma non va oltre. Sembra quasi, perciò, che la compattezza e la forza dell’esercito sovietico siano determinate in parte dalla paura dell’NKVD e in parte da quella antica capacità di soffrire, definita da un grande scrittore del Novecento "cupamente grandiosa", che però è una qualità del tutto passiva. Beevor non ha scavato nemmeno un poco nella storia, nelle tradizioni e nell’anima del popolo russo. Per questo, bisogna leggere Vasilij Grossman.


 

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