venerdì 16 settembre 2022
Ugoberto Alfassio Grimaldi (1915 - 1986), Il re 'buono'. La vita di Umberto I: Margherita e la duchessa Litta, il trasformismo e gli scandali bancari... Feltrinelli, 1973
Il libro parte dalla morte di Vittorio Emanuele II e descrive l'Italietta umbertina fino all'uccisione del re per mano di Gaetano Bresci, il 29 luglio 1900. Quella Italietta non morì certo con Umberto, ma continuò nel periodo giolittiano, proseguì col fascismo di Mussolini, superò la seconda guerra mondiale ed è ancora oggi viva e vegeta. Le sue caratteristiche di pressappochismo e decadimento morale e sociale, economico e intellettuale, culturale e politico sono sempre le medesime che si manifestarono nell'Ottocento, subito dopo l'unificazione nazionale; oggi però sono più gravi, attive e disgregatrici di quanto non siano mai state nel passato. Tuttavia, per il tempo presente, non parlerei più di Italietta, ma di Little Italy, fedele colonia americana. Il libro è costruito in grandissima parte con larghe citazioni da giornali e pubblicazioni d'epoca, e restituisce bene l'atmosfera del tempo: da una parte, la retorica e le frivolezze, il feroce spirito repressivo e il ridicolo militarismo delle classi dirigenti; dall'altra, le contestazioni e le analisi degli oppositori socialisti e democratici, che, con mia sorpresa, sono più acute, sincere e persino divertenti di tutti i discorsi fatti dai nostri oppositori negli ultimi trent'anni. Non è un caso che in questa realistica descrizione dell'Italietta umbertina il nome di Benedetto Croce, che nel 1945 dichiarò di avere "coscienza vivissima del debito che tutta l'Italia presente ha verso quel passato", ricorra solo quattro volte, in modo del tutto marginale. La coppia regale, Umberto e Margherita, ha tutte le qualità per essere all'altezza di quella Italia da operetta. Di Margherita giornalisti e poeti cantano la bellezza, l'eleganza e il fascino, il passo armonioso e l'arte del salutare. Carducci si sdilinquisce per la regina, meritando due versi feroci di Mario Rapisardi ("... Or cerbero che i re squarta ed ingozza / or di donne regali umil lecchino"). In pubblico Margherita compare sempre coperta di piume e di gioielli, come una statua votiva. In quegli anni il Quirinale è la più splendida corte d'Europa. La regina ha anche interessi culturali. Studia il latino sotto la guida di Marco Minghetti. Ma questo studio non allarga la sua mente né tempera i suoi sentimenti bellicosi, perché, come ha scritto Pasolini, la cultura dell'Italietta "è un umanesimo scolastico formale e volgare". E il volgare spirito reazionario di Margherita si manifesta puntualmente in occasione di ogni manifestazione popolare di protesta. "Che voglia verrebbe di picchiare addosso a quei farabutti!", scrive a Minghetti a proposito di scontri con la forza pubblica avvenuti a Forlì. “Umberto e Margherita, scrive Alfassio Grimaldi, sarebbero felici di vedere il paese trasformato in una sola, ordinata, disciplinata, patriottica caserma”. La regina non si risparmia. “La Camera, scrive a Domenico Farini, avvelena e ammorba la vita di Roma”. Sul re Umberto non c’è molto da dire: è un uomo mediocre sotto tutti gli aspetti, salvo forse per l’equitazione e la caccia. Ha scarsa cultura e dormicchia durante i colloqui di lavoro, è annoiato dagli affari di governo, poco schietto, volubile, debole (questi sono giudizi di suoi collaboratori). E’ interessato soprattutto alle donne e ha molte amanti. Napoleone Colajanni in una lettera a Maffeo Pantaleoni lo descrive così: “... quello scimunito d’un Re...”. L’instancabile attività dei sovrani consiste nello scoprire monumenti, visitare scavi archeologici, acquistare quadri, inaugurare esposizioni, essere presenti alle corse, aprire congressi, passare in rivista le truppe, dare balli, andare a teatro, a caccia e in vacanza. Viva l’Italietta!
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