‘Stalingrado’ è un romanzo storico pubblicato nel 1952. Ha una continuazione in ‘Vita e destino’, che Grossman terminò di scrivere nel 1960 e che completa la descrizione della battaglia di Stalingrado, combattuta dal luglio del 1942 al febbraio del 1943. Nel primo romanzo il racconto della battaglia si ferma alla fine di settembre 1942. Le vicende editoriali di questi due romanzi sono complicate, e qui non importa descriverle. E’ invece importante sapere che Grossman fu corrispondente di guerra e che quello che racconta lo ha visto e vissuto. Non ho ancora letto ‘Vita e destino’; perciò mi limito a esprimere qualche impressione solo sulla prima parte di quest’opera colossale, che è stata paragonata a ‘Guerra e Pace’. Durante la seconda guerra mondiale il capolavoro di Tolstoi ha avuto una diffusione enorme in Unione Sovietica e tra i soldati dell'Armata Rossa, che in quell’opera sulla resistenza russa contro l’invasione napoleonica cercavano ispirazione, conforto e coraggio. E’ triste che noi italiani non abbiamo nessuna opera simile da cui poter trarre, in una situazione di emergenza e di catastrofe, la forza popolare e nazionale per una riscossa. Mi viene in mente solo (ma lo dico per amaro scherzo) ‘Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille’ di Giuseppe Cesare Abba (1838-1910). Grossman e i suoi personaggi hanno un legame strettissimo con le tradizioni della Russia profonda, e in ‘Stalingrado’ ricorrono continuamente citazioni di poeti e scrittori dell’Ottocento: Tjutčev, Lermontov, Puškin, Gogol, Čechov. Anche questo spiega perché il libro, pubblicato quando Stalin era ancora in vita, abbia suscitato molte critiche da parte di politici e scrittori di stretta osservanza stalinista. Secondo questi settari, l’epoca sovietica, iniziata dai comunisti, doveva sembrare un’epoca a sé, del tutto nuova, con valori propri, moralmente autonoma. Ma in ‘Stalingrado’ non c’è nessun contrasto, nessuna separazione, fra la Russia antica (viene evocato perfino Aleksandr Nevskij) e la cornice sovietica, e anche il lavoro nei kolchoz agricoli, nelle fabbriche e nelle miniere viene descritto come un lavoro libero, fatto con convinzione e patriottico entusiasmo. Grossman sente che solo raccogliendo la forza di tutto il popolo, di tutti i popoli sovietici, solo unendo le loro vite, ricordi e speranze, sarà possibile sconfiggere i barbari tedeschi. Ed è quello che è accaduto e che lui racconta. ‘Stalingrado’ è un monumento di 848 pagine. L’autore ama il popolo, i personaggi a cui dà vita, le loro esistenze e perfino i loro oggetti domestici. Descrive tutto minuziosamente, con amorevole penetrazione, con lunghi elenchi di persone, di cose e di attività; elenchi che, seppur noiosi, sembrano avere un significato lirico, perché esprimono la straordinaria compattezza di quel mondo, di quella patria, lo stretto legame fra uomini, lavoro, luoghi e cose.
giovedì 28 luglio 2022
Vasilij Grossman (1905-1964). Stalingrado [Romanzo]. Adelphi, 2022.
‘Stalingrado’ è un romanzo storico pubblicato nel 1952. Ha una continuazione in ‘Vita e destino’, che Grossman terminò di scrivere nel 1960 e che completa la descrizione della battaglia di Stalingrado, combattuta dal luglio del 1942 al febbraio del 1943. Nel primo romanzo il racconto della battaglia si ferma alla fine di settembre 1942. Le vicende editoriali di questi due romanzi sono complicate, e qui non importa descriverle. E’ invece importante sapere che Grossman fu corrispondente di guerra e che quello che racconta lo ha visto e vissuto. Non ho ancora letto ‘Vita e destino’; perciò mi limito a esprimere qualche impressione solo sulla prima parte di quest’opera colossale, che è stata paragonata a ‘Guerra e Pace’. Durante la seconda guerra mondiale il capolavoro di Tolstoi ha avuto una diffusione enorme in Unione Sovietica e tra i soldati dell'Armata Rossa, che in quell’opera sulla resistenza russa contro l’invasione napoleonica cercavano ispirazione, conforto e coraggio. E’ triste che noi italiani non abbiamo nessuna opera simile da cui poter trarre, in una situazione di emergenza e di catastrofe, la forza popolare e nazionale per una riscossa. Mi viene in mente solo (ma lo dico per amaro scherzo) ‘Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille’ di Giuseppe Cesare Abba (1838-1910). Grossman e i suoi personaggi hanno un legame strettissimo con le tradizioni della Russia profonda, e in ‘Stalingrado’ ricorrono continuamente citazioni di poeti e scrittori dell’Ottocento: Tjutčev, Lermontov, Puškin, Gogol, Čechov. Anche questo spiega perché il libro, pubblicato quando Stalin era ancora in vita, abbia suscitato molte critiche da parte di politici e scrittori di stretta osservanza stalinista. Secondo questi settari, l’epoca sovietica, iniziata dai comunisti, doveva sembrare un’epoca a sé, del tutto nuova, con valori propri, moralmente autonoma. Ma in ‘Stalingrado’ non c’è nessun contrasto, nessuna separazione, fra la Russia antica (viene evocato perfino Aleksandr Nevskij) e la cornice sovietica, e anche il lavoro nei kolchoz agricoli, nelle fabbriche e nelle miniere viene descritto come un lavoro libero, fatto con convinzione e patriottico entusiasmo. Grossman sente che solo raccogliendo la forza di tutto il popolo, di tutti i popoli sovietici, solo unendo le loro vite, ricordi e speranze, sarà possibile sconfiggere i barbari tedeschi. Ed è quello che è accaduto e che lui racconta. ‘Stalingrado’ è un monumento di 848 pagine. L’autore ama il popolo, i personaggi a cui dà vita, le loro esistenze e perfino i loro oggetti domestici. Descrive tutto minuziosamente, con amorevole penetrazione, con lunghi elenchi di persone, di cose e di attività; elenchi che, seppur noiosi, sembrano avere un significato lirico, perché esprimono la straordinaria compattezza di quel mondo, di quella patria, lo stretto legame fra uomini, lavoro, luoghi e cose.
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