domenica 17 aprile 2022

Massimo Viglione. L'identità ferita. Il Risorgimento come rivoluzione & la guerra civile italiana. Milano, Ares, 2006.

L'idea fondamentale del libro, sostenuta con mille argomenti e, per ciascuna prova portata, ripetuta e sottolineata ogni volta, è questa: "Il processo risorgimentale - e con esso le sue più dirette conseguenze, fascismo e antifascismo - hanno fallito nella missione di 'fare gli italiani', divenendo una delle cause principali dei mali odierni del nostro popolo". Il grande merito di Massimo Viglione, storico cattolico, non è solo quello di rovesciare l'interpretazione eroica del Risorgimento dimostrandone la falsità, ma anche di rendere visibile il filo nero che collega il modo prepotente e oscuro in cui fu unificata l'Italia con gli eventi di tutta la nostra storia successiva, fino ad oggi. Per me, che da giovane legavo tutti i cattolici in un unico mazzo clerico-fascista, è una sorpresa scoprire in vecchiaia che il tradizionalismo cattolico può difendere con sincera passione gli ideali e la vita dei ceti popolari, e smascherare con lucida analisi la natura astratta e autoritaria del giacobinismo. Copio direttamente dal libro, che contiene giudizi di così cristallina chiarezza, che è supefluo farne la parafrasi. Il movimento nazionale italiano, al contrario di qualsiasi altro movimento nazionale, si è voluto attuare contro la religione degli italiani, dunque contro la stessa millenaria identità nazionale. Questa rivoluzione imposta dall'alto, unita al centralismo irrazionale e isterico attuato dagli uomini della Destra storica, ha provocato - e a tutt'oggi provoca - un permanente stato latente di guerra civile. L'Italia non nacque per la forza delle proprie armi, per l'impulso della maggioranza del popolo, ma grazie alla protezione di potenze straniere. Lo Stato italiano si affermò combattendo più gli stessi italiani (con la repressione del 'brigantaggio', ovvero contro la guerriglia fedele al sovrano legittimo) che gli stranieri. Il modo in cui fu fatta l'Italia, con l'intrigo e l'inganno, è all'origine dell'ambiguità della nostra politica estera e del nostro scarso spirito militare [e, aggiungo io, della nostra tranquilla e rassegnata abitudine, se non grande soddisfazione, di essere colonia di una grande potenza straniera]. In Italia si è fatta la storia alla rovescia: prima si è costituito uno Stato nazionale secondo i princìpi massonici, anticattolici e liberal-progressisti dell'élite risorgimentale, poi si è dovuto pensare a creare una 'nazione', che evidentemente non esisteva affatto, non essendo i più di venti milioni di italiani di quel tempo né massoni né anticattolici e nemmeno liberal-progressisti (almeno alla maniera dell'élite piemontese). I protagonisti del Risorgimento dovevano dare una giustificazione ideale dei loro atti eversivi e della loro volontà di abbattere i legittimi stati preunitari. Per questo fu lanciata contro di loro una campagna di propaganda calunniosa, che li descriveva come organismi moribondi, oppressivi e odiati dalle loro popolazioni, le quali, invece, venivano presentate dai propagandisti dell'unificazione come aspiranti alla 'redenzione' e animate dal profondo desiderio di diventare nazione grazie all'unione col Piemonte. Il mito risorgimentale poggia su molte mistificazioni storiche, ideali e religiose, il cui risultato è questo indiscutibile dogma nazionale: in Italia, per essere patrioti, bisogna amare il Risorgimento. Ma la vittoria del partito piemontese non fu la vittoria dell'Italia, né tanto meno degli italiani. Fu solo la vittoria di una élite potente e prepotente, che, con il pretesto dell'unificazione (non di una vera unità), gettò le basi storiche, politiche, ideologiche e sociali del totalitarismo e di tutte le tragedie che il nostro popolo ha subito nel XX secolo, compresa la sua endemica disgregazione. Gli italiani sono il popolo europeo meno legato al proprio Stato nazionale, quello che meno avverte il sentimento patriottico di legame indissolubile fra decine di milioni di persone che parlano la stessa lingua, hanno la stessa religione, lo stesso patrimonio artistico e civile, la stessa storia, le stesse tradizioni e mentalità. Non per niente, siamo il popolo più europeista, più pronto a rinunciare al nostro Stato nazionale. La vera unità si sarebbe potuta raggiungere in altre maniere, per altre vie, in piena e profonda unità di cuori e di intenti, senza la guerra alla Chiesa e al clero e senza le stragi di italiani nel Meridione, senza la corruzione dilagante e senza milioni di emigranti, senza dover dipendere dallo straniero e senza la mai terminata guerra civile nazionale. Sarebbe bastato rispettare la vera identità degli italiani per realizzare un risorgimento sostenuto dal consenso popolare. Creare lo Stato unitario sovrapponendo con la forza alla realtà gli utopici princìpi di una nuova Italia, ha reso necessario educare gli italiani a diventare diversi da quello che erano. La missione di 'fare gli italiani' è fallita miseramente, e anzi, aggiungo io, la loro coscienza morale e civile è al punto più basso della loro storia.
 

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