giovedì 21 aprile 2022

Massimo Viglione. Le insorgenze controrivoluzionarie nella storiografia italiana. Dibattito scientifico e scontro ideologico (1799-2012). Firenze, Leo S. Olschki, 2013.

Prima di dar conto del libro di Massimo Viglione, trascrivo alcune elementari notizie da Wikipedia. "Le insorgenze antifrancesi furono rivolte popolari scoppiate in Italia negli anni fra il 1796 e il 1814, cioè l'arco di tempo del predominio francese sulla penisola italiana. Ebbero luogo nei territori occupati dalla Francia rivoluzionaria, organizzati nelle cosiddette repubbliche sorelle, create con la partecipazione dei simpatizzanti filo-francesi e giacobini locali. Iniziarono durante la campagna d'Italia del generale Napoleone Bonaparte ed ebbero termine nel 1814 con l'abdicazione di Napoleone in seguito alla definitiva sconfitta degli eserciti francesi da parte della Sesta coalizione. Le insorgenze antigiacobine e antinapoleoniche furono spontanee e isolate le une dalle altre: gruppi di oppositori al nuovo regime si sollevarono in diversi luoghi, senza collegamento fra loro, senza un capo che le dirigesse, senza un piano tattico militare, senza armamento adeguato. La maggiore azione bellica vittoriosa si ottenne grazie all'Esercito della Santa Fede nel Regno di Napoli".

Il libro di Viglione esamina le varie interpretazioni che gli storici hanno dato di quei fatti. Dagli storici dell'Italia unitaria ottocenteschi e primo-novecenteschi, che esaltavano la Rivoluzione francese come l'origine del Risorgimento, le rivolte popolari antifrancesi e antigiacobine sono state quasi ignorate; invece gli storici ufficiali più moderni, fino ai giorni nostri, le hanno ridimensionate e declassate ad 'aneddoti provinciali', a situazioni locali prive di significato profondo e generale. Alle rivolte di quel ventennio parteciparono centinaia di migliaia di italiani, dalla Val d'Aosta alla Calabria, ed esse costituiscono, scrive Viglione, "la più grande e coinvolgente vicenda della storia degli italiani degli ultimi secoli". L'unificazione politica del paese ebbe, come è noto, scarsissimo consenso popolare e fu una operazione diplomatico-militare calata dall'alto e imposta con la forza e con l'intrigo alle popolazioni degli Stati preunitari. E' imbarazzante, perciò, per chi esalta il valore di redenzione del Risorgimento, prendere atto dell'ampiezza, della durata e della profondità del fenomeno delle insorgenze antifrancesi. I rivoltosi reagivano ai furti, ai soprusi, stupri e stragi commesse dagli invasori, ma difendevano anche la propria identità religiosa, politica, civile. I francesi non erano normali invasori, venuti solo a rubare e comandare; essi volevano anche distruggere lo spirito della nazione per crearne un altro fondato su idee estranee e opposte, contro il Dio dei padri, contro la Chiesa, i sovrani legittimi: insomma, contro quella che era di fatto in quegli anni la 'patria civiltà'. Viglione, storico cattolico, si chiede: è giusto definire 'patrioti', come ha sempre fatto gran parte della nostra storiografia, i democratici italiani, che erano sostenuti dall'esercito invasore e di fatto asserviti, e presentare invece come 'briganti' coloro che difendevano fino alla morte la propria tradizione e società secolare, i propri sovrani legittimi, le proprie terre, case, famiglie, donne, averi, dignità, religione? Napoleone Colajanni, citato da Viglione, scrisse che i democratici patrioti napoletani "fondarono una repubblica come si fonda un'accademia; e la loro repubblica sarebbe riuscita la più risibile delle esercitazioni retoriche, se non fosse stata santificata col battesimo di sangue di tanti generosi". In generale, gli storici che simpatizzano per le idee giacobine e difendono il Risorgimento come figlio della Rivoluzione francese, minimizzano il significato delle insorgenze antinapoleoniche e le considerano episodi locali e isolati, provocati soprattutto, se non esclusivamente, da cause economiche e sociali, e affermano con sicurezza che quegli episodi non sono ricomponibili in un quadro generale. I difensori del Risorgimento come redentore delle popolazioni oppresse escludono completamente o sottovalutano il motivo morale delle rivolte, cioè la difesa delle proprie convinzioni religiose e della propria vita spirituale (non è necessario essere un intellettuale per avere una vita spirituale; anzi direi che è controindicato). Francesco Mario Agnoli, citato da Viglione, commenta così questo atteggiamento della storiografia ufficiale nei confronti dei motivi religiosi e morali: "Ennesima dimostrazione dell'incapacità degli storici giacobini e dei loro epigoni di comprendere che le azioni umane hanno spesso cause e fini assai più profondi di quelli economici, e di intuire l'importanza del sentimento religioso". L'Insorgenza, costituita da decine di singole insorgenze non collegate, è una spontanea resistenza armata del popolo italiano, afferma Agnoli, contro l'invasione delle idee rivoluzionarie e delle armi francesi. Gli italiani insorsero principalmente in difesa della loro civiltà aggredita, come è dimostrato dal fatto che la stragrande maggioranza delle rivolte cominciava non appena arrivavano i francesi, ancor prima che questi potessero cominciare ad attuare una qualsivoglia politica economico-sociale. Gli insorgenti prendevano le armi quando vedevano le chiese violate, il santo patrono offeso, il Ss. Sacramento o le reliquie dei santi profanate, il crocifisso deposto e sostituito dal rivoluzionario e 'gnostico' albero della libertà, le casse comunali, i palazzi, gli ospedali, i monti di pietà svuotati, le donne aggredite. I fattori eversivi locali, scrive Viglione, possono aver avuto il ruolo della scintilla sulla benzina; ma la benzina era costituita dall'invasione napoleonica, che imponeva una rivoluzione anticristiana e repubblican-giacobina alle singole popolazioni. Oscar Sanguinetti, citato da Viglione, descrivendo le cause dell'Insorgenza, accanto alla razzia generale di ogni bene, all'enorme pressione fiscale e all'abolizione degli antichi privilegi e usi civici a favore del popolo, sottolinea l'empietà e la secolarizzazione della vita pubblica ("novità entrambe che feriscono l'animo religioso con una profondità che oggi non siamo più in grado di comprendere") e il disagio profondo per riforme precipitose e astratte che modificano radicalmente i costumi e la vita quotidiana degli strati bassi della popolazione.  Francesco Pappalardo, citato da Viglione, scrive: "Quella del 1799 [a Napoli] può essere definita la 'rivoluzione inesistente', trattandosi non di un moto di piazza o di una insurrezione generale, ma di un violento cambio di regime imposto dalle armi francesi. I 'patrioti', come i rivoluzionari si facevano chiamare, non appena viene proclamata la Repubblica, si accorgono di essere estranei alla grandissima parte degli abitanti e di essere tenuti in pugno dai francesi. I dibattiti, le leggi, la pubblicistica, l'organizzazione dello Stato si riducono a un gioco da salotto, fra grandi utopie, idee astratte e grandi ideali impersonali. I 'patrioti' scoprono che il popolo vero non era il 'Popolo' da essi idealizzato"; perciò essi hanno il compito di indirizzarlo e rieducarlo dall'alto. Per Viglione "l'insorgenza può essere considerata parte integrante della ribellione delle popolazioni europee contro l'aggressione della modernità illuminista e democratica". L'italiano che, oltre due secoli fa, si ribellava contro le grandi idee universaliste e astratte provenienti dalla Francia, doveva sentirsi a disagio e in pericolo, credo, come si sentono in pericolo gli uomini pensanti di oggi di fronte alla modernità che ci sovrasta, fatta di globalizzazione finanziaria e di tecnologia antiumana, di progetti di grande 'reset' mondiale contro la sovranità delle singole nazioni, di retorica del politicamente corretto, di buonismo immigrazionista, di edonismo consumistico e di una capillare, ininterrotta e criminosa attività di lavaggio dei cervelli (la loro 'rieducazione') svolta da istituzioni pubbliche e private, da scuola e università, giornali e televisioni, associazioni culturali e agenzie di pubblicità commerciale.  Rispondendo agli storici filogiacobini, che spezzettano il fenomeno dell'Insorgenza europea in infiniti episodi di ribellismo sociale, Viglione conclude: "Proprio perché nulla unisce i ribelli di zone che sono certamente lontane l'una dall'altra ma accomunate da una medesima identità cattolica e monarchica, il fatto che italiani, spagnoli, belgi, francesi insorgano tutti insieme non appena entrano a contatto con la Rivoluzione francese, è la dimostrazione più evidente che la molla principale dell'insurrezione è, in ogni parte d'Europa, sempre la stessa: il rifiuto della Rivoluzione e la volontà di difendere la propria vita religiosa, politica, civile".
 

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