Alfonso Berardinelli, nato nel 1943, di un anno più giovane di me, in anni ormai lontani è stato un maestro di pensiero, di realismo, di critica umanistica alla società moderna. Ricordo i suoi bellissimi articoli su Simone Weil, la sua acuta analisi del giornale la Repubblica e del suo divino fondatore, la sua satira divertente di Berlusconi paragonato all'omino di burro di Pinocchio, i suoi aforismi taglienti sui professori accademici, i giudizi su Umberto Eco, Pietro Citati e altri illustri personaggi della cultura. Come esempio della ammirevole concretezza del suo modo di ragionare, riporto questo assennatissimo concetto: "Pensare che la vera soluzione al problema della xenofobia, del cosiddetto razzismo e a ogni genere di male sociale sia l'amore del prossimo, o una sorta di generale e calorosa solidarietà verso gli altri, è un modo poco meno che criminoso di affrontare la questione. Amore e solidarietà non possono essere previsti e prescritti come sentimenti sociali costanti, primari e comuni. Chi ne parla in questi termini fa solo della retorica perniciosa". Ma sono passati alcuni decenni da quelle battaglie, e Berardinelli ha vissuto, a mio parere, non un naturale e legittimo sviluppo delle idee e delle simpatie, ma una mutazione radicale, anzi un capovolgimento. Allora, subito dopo quell'assennato pensiero, Berardinelli citava con stupore certi psicologi junghiani e pedagoghi che affermavano "che il solo vero rimedio alle patologie sociali grandi e piccole sarebbe niente di meno che l'amore". Oggi, in questo intervento sulla guerra in Ucraina, Berardinelli cade nella stessa infatuazione buonista, che allora disprezzava, quando scrive: "Il mondo non avrà pace finché esisteranno regimi dittatoriali e poteri assoluti". Bravo, ha scoperto l'acqua calda! Da quando collabora al Foglio che fu di Giuliano Ferrara, gli articoli di Berardinelli si sono fatti vaghi, tiepidi e generici, e lui è diventato così lungimirante che il suo sguardo si perde in una lontananza vuota. Non ho il tempo, il materiale e l'interesse per ricostruire le tappe di questa mutazione, ma credo che il suo articolo del 19 marzo scorso sul Foglio, dal titolo altisonante ("La resistenza eroica degli ucraini è l'avanguardia morale dell'Europa futura"), costituisca il suo approdo terminale. E' sorprendente che un uomo che ha sempre coltivato il dubbio, se ne esca ora con una sparata retorica che ignora e fa piazza pulita dei fatti concreti, che sarebbe invece utile tenere nella massima considerazione. L'articolo di Berardinelli mi ha lasciato di stucco, e per dare un senso alla sua parabola non ho trovato di meglio che adattare al suo caso una massima di Vauvenargues, che ho leggermente corretto così: "Coloro che passano la vita occupati esclusivamente a seminar dubbi su tutto, alla fine si innamorano seriamente delle quisquilie". La quisquilia dell'articolo non è, naturalmente, la resistenza degli ucraini, cosa molto drammatica, ma il vedere in essa la riscossa morale dell'Europa.
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