domenica 27 marzo 2022
Leone Tolstoi: Resurrezione. Nuova traduzione integrale di Luigi Ermete Zalapy. Milano, A. Barion, 1929.
'Resurrezione' è un grande libro, ma non è un bel romanzo. Si legge con passione e rispetto, ma contiene troppi discorsi didascalici e predicatori per essere completamente avvincente. Le riflessioni morali e politiche del principe Nekljudov sulla nobiltà parassita, sulla magistratura crudele e indifferente, la burocrazia corrotta e sulla originaria sanità del popolo, guastata dai soprusi e dalle ingiustizie sociali, sono nobili e profonde e rispecchiano il fervore culturale dei circoli democratici nella Russia di fine Ottocento, però non giovano alla riuscita artistica del romanzo. Tuttavia anche in questo romanzo Tolstoj rivela il suo grande talento di narratore. I personaggi sono ritratti con mirabile penetrazione, con comprensione o con sarcasmo, e spesso sono caratterizzati con un piccolo gesto che, per il fatto di essere minimo, diventa quasi di sublime significato. Al processo contro l'eroina del romanzo, Katiuša Maslova, accusata di omicidio, c'è fra i giurati un mercante grasso, allegro e volgare. Quando i giurati sono invitati dal presidente del tribunale a prendere visione delle prove del delitto, essi "si avvicinarono al tavolo, dove esaminarono, uno dopo l'altro, l'anello, i boccali e il filtro. Il mercante osò anche mettere l'anello a un dito. - Eh! - disse a Neckliudoff, tornando al proprio posto - Che dito! Grosso come un cetriolo!". Leggendo 'Resurrezione', ho avuto per la prima volta l'impressione che i romanzi e in generale le opere letterarie europee, a confronto con la grande letteratura russa, siano, per dirla con un'espressione popolare toscana, soltanto un 'brodino', cioè opere fragili nate in ambienti chiusi e al coperto. Molti anni fa, a una Festa nazionale dell'Unità, alle Cascine di Firenze, ebbi una impressione simile ascoltando Fabrizio De André che cantava all'aperto. Mi sembrò di capire che quella di De André era una musica delicata, elegante e poetica, sì, ma libresca e leggera come fosse nata in una serra, buona per una riunione di amici in salotto; e che non reggeva il confronto con gli Inti Illimani, ascoltati in quella medesima Festa dell'Unità, che suonavano una musica di respiro immenso, universale. Analogamente le opere dei grandi scrittori russi sembrano avere una vastità, una profondità, una risonanza uniche. Se cerco fra i nostri autori qualcuno che abbia una natura simile, mi viene in mente solo Giuseppe Gioachino Belli. La descrizione che Tolstoj fa dei contadini raccolti in chiesa per la messa notturna di Pasqua è una descrizione realistica e insieme un atto di amore religioso e mistico (elemento che al Belli manca). "A destra stavano gli uomini; i vecchi, con abiti cuciti da loro stessi e con le gambe avvolte in fasce di tela bianca; i giovani, con grandi stivali ai piedi, indossavano vestiti nuovi con sciarpe chiare intorno alla vita. A sinistra stavano le donne col capo coperto da fazzolettoni di seta, vestite con camicette di velluto, dalle maniche color rosso vivo, con sottane azzurre, verdi, rosse, e calzate con sandali ferrati. Le più anziane, dai fazzolettoni bianchi e dalle vesti grige, si erano messe in fondo, modestamente: nello spazio che intercorreva fra queste e le giovani, si erano schierati i bambini, in abiti festivi". E' da un animo così profondo e vasto, dalla capacità di abbracciare tutta la vita del popolo, che nasce lo spirito profetico di Tolstoj; e la sua profezia più interessante mi sembra quella sull'ascesa di un tipo di rivoluzionario che, in nome del popolo, è nemico del popolo: il perfetto burocrate bolscevico. Fra i deportati diretti in Siberia, insieme alla Maslova, c'è Novodvorov, un politico, il quale afferma: "Noi abbiamo il dovere di fare tutto per il popolo, senza aspettare nulla da lui. Il popolo dev'essere l'oggetto della nostra attività, ma non potrà mai collaborare con noi". Un altro deportato, Kriltzov, gli obietta: "Noi lottiamo contro il dispotismo; ebbene, questo nostro modo d'agire non è forse un dispotismo più ributtante di quello che pretendiamo di distruggere?". Il Novodvorov di Tolstoj sembra prefigurare un bolscevico come Stalin, la Guida dei popoli. Era intellettualmente superiore alla media dei rivoluzionari, scrive Tolstoj, ma la vanità e l'egoismo al massimo grado avevano bloccato la sua intelligenza. Tutta la sua attività rivoluzionaria sembrava unicamente basata sull'ambizione e sul desiderio di dominare e farsi valere. Dotato di un'attitudine straordinaria ad assorbire ed esprimere con chiarezza le idee degli altri spacciandole per proprie, aveva saputo imporsi all'ammirazione di tutti. I suoi compagni lo temevano, lo apprezzavano per la sua audacia e per la sua fermezza di carattere, ma non lo amavano. Novodvorov, da parte sua, non amava nessuno e considerava come rivale chiunque avesse dei meriti. Senza esserne consapevole, Tolstoj preannuncia qui una tragedia infinita che annienterà tutte le sue religiose speranze.
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