Voltaire, col suo temperamento poco incline al lirismo e al tragico, non amava Dante e non lo capiva. Gli preferiva Ludovico Ariosto, che considerava "il primo poeta italiano e forse del mondo intero", "l'immaginazione più feconda di cui la natura abbia fatto dono a un uomo". Nonostante la sua non ottima conoscenza dell'italiano, Voltaire si cimentò anche nella traduzione di passi della Divina Commedia e ogni tanto tornava a esprimere giudizi sprezzanti sul grande poema. Un italiano che viveva a Londra, Vincenzo Martinelli (1702-1785), definì le divagazioni dantesche di Voltaire "un discorso vano, arbitrario e falso", e la sua traduzione di alcuni passi dell'Inferno "una stupida traduzione... in uno stile pulcinellesco". Tuttavia su un punto Voltaire aveva, ed ha ancora, ragione: la fama di Dante cresce, ma in realtà nessuno lo legge. "I venti passaggi che si conoscono a memoria, ha scritto, esimono dal leggere il resto dell'opera". Lo scrittore austriaco Stefan Zweig ha affermato addirittura che Dante cessò di essere letto appena dieci anni dopo la sua morte, e che la Commedia diventò quasi subito solo un'opera da interpretare, come l'Antico Testamento. Io penso che, oltre alla voluttà di oggi, secolo XXI, di cancellare il passato in generale, ci sia un accanimento particolare a rimuovere la Commedia dantesca dalla vita culturale del paese e a chiuderla in uno scrigno inaccessibile. Essa ha il valore di una "Costituzione morale", che il popolo italiano non ha raccolto, ma che, se entrasse negli animi (e non soltanto nelle orecchie, grazie, per esempio, alle zuccherose letture di Roberto Benigni), darebbe ai cittadini una coscienza fiera e severa, che certo non favorirebbe l'emergere di ometti mediocri o nulli come i nostri politici. Ai miei tempi, la Divina Commedia si leggeva (male e solo in parte) negli ultimi tre anni di liceo, cioè a partire dai quindici anni; poi, in generale, col sentimento di essersene finalmente liberati, non ci si tornava più sopra per tutto il resto della vita. Non so che cosa accada oggi, ma, col senno di poi, penso che si dovrebbe cominciare a leggere un'opera così densa non prima dei vent'anni, dopo una adeguata preparazione linguistica e letteraria.
Stefan Zweig esalta il poeta, ma complessivamente nega l'attualità di Dante. "E' solo il poeta e non più il giudice che parla al nostro cuore... Mai noi potremo superare la nostra avversione per il rigore morale di questa legge universale che si oppone senza pietà alla libertà della natura e all'indipendenza della volontà". Lo scrittore austriaco deve aver scritto il suo saggio in un raro momento di spensieratezza, lui che, per orrore del nazismo, visse in esilio per lunghi anni e si suicidò in Brasile nel 1942. Sembra solo retorica, la sua (ma quanto diffusa e quanto attuale!), quando scrive: "L'opera di Dante è per noi un mausoleo, l'eroica pietrificazione del passato, il sarcofago venerabile del medio evo cristiano, una tomba grande come le Piramidi e il Partenone". Ma che cosa sarebbe il Dante poeta, senza il suo rigore morale di giudice e senza il suo sentimento drammatico della realtà? Probabilmente un arguto e dolce verseggiatore come Trilussa. I suoi versi intensamente concisi e drammatici, se fossero conosciuti, sarebbero una lezione di severa energia per il tempo nostro. Ma temo che anche studiare Dante non serva più a dare un po' di sangue a questa epoca flaccida e qualunquista. A leggere su internet i commenti di lettori e ascoltatori di letture dantesche, c'è da disperare. Qualcuno parla di "bellezza spiazzante", molti si dichiarano scioccamente orgogliosi di essere italiani, altri trovano che lo spirito di Dante si sia incarnato nel geniale Benigni. Una idiozia formidabile! Dante non assomiglia nemmeno lontanamente a quest'allegro omino, sempre entusiasta di come (gli) vanno le cose, che recita i versi dell'Inferno con la compostezza di chi si sforza di essere serio solo perché le circostanze lo richiedono, come al funerale di un parente lontano. Dante è un uomo che conosce il dolore e con parole semplici sa descriverne la condizione penosa in modo lapidario.
"Io sono al terzo cerchio, de la piova / etterna, maladetta, fredda e greve; / regola e qualità mai non l'è nova. / Grandine grossa, acqua tinta e neve / per l'aere tenebroso si riversa, / pute la terra che questo riceve".
E ancora:
"Luogo è in inferno detto Malebolge, / tutto di pietra di color ferrigno, / come la cerchia che dintorno il volge".
Un ultimo esempio:
"Io vidi certo, e ancor par ch'io 'l veggia, / un busto sanza capo andar sì come / andavan li altri de la trista greggia; / e 'l capo tronco tenea per le chiome, / pésol [sospeso in alto] con mano a guisa di lanterna; / e quel mirava noi, e dicea <Oh me!>".
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