lunedì 13 dicembre 2021

Che cosa ha studiato a scuola Piero Sansonetti?


 







La folta chioma e la bella barba di Piero Sansonetti (che insieme danno l'idea di un uomo di fortunate esperienze) fanno sfigurare il viso ascetico di studioso appartato del filosofo Giorgio Agamben. Spesso accade che la floridezza della criniera e dell'onor del mento venga vissuta come un segno di dignità intellettuale. Sarà per questo che il giornalista (di cui si ignora il titolo di studio) si è permesso di rivolgersi a Cacciari e Agamben dicendo più o meno: "Sono filosofi? E facciano i filosofi, senza occuparsi pubblicamente né di vaccini né di green pass". Proprio in questi giorni ho riletto il capitolo della Storia di Francesco De Sanctis sulla lirica di Dante, e lì ho trovato osservazioni preziose ancora attualissime che, da una parte, rispondono al povero Sansonetti e, dall'altra, innalzano la figura di Agamben (lascio indietro Cacciari) ad un'altezza straordinaria. Cito De Sanctis: "Ma la filosofia non è in Dante astratta scienza: è Sapienza, cioè a dire pratica della vita. Con che orgoglio si professa amico della filosofia! e vuol dire amico di virtù, che ti fa spregiare ricchezze e onori e gentilezza di sangue, e ti dà la vera nobiltà, che ti viene da te e non dagli altri. Intendere per lui è il principio del fare [...] La filosofia investe tutto l'uomo, e si addentra in tutti gli aspetti della vita". Più avanti De Sanctis parla di quanto fosse grande in Dante il sentimento doloroso di una scissione fra l'ideale e la realtà, e di come questo dolore lo mettesse "in uno stato di ribellione contro l'uomo", in un atteggiamento di aspra e sdegnosa polemica. Ma, aggiunge il critico napoletano, il sentimento di questa contraddizione fra ideale e realtà non uccide il suo entusiasmo e la sua fede, come invece fa nei poeti moderni. Il disinganno anzi fortifica e nobilita l'anima di Dante. Il dolore della scissione fra aspirazioni ideali e prosaica realtà non lo conduce alla negazione della filosofia, ma anzi alla sua glorificazione, "fiero di possederla e amarla egli solo con pochi, e di sentirsi perciò quasi Dio fra la greggia degli uomini". Ma Dante non finisce qui, come un superuomo qualunque. Con il suo dolore filosofico egli dà voce al dolore dell'umanità. Il suo sentimento "così serio e sincero non rimane puramente individuale o soggettivo; anzi la parte personale e contingente si mostra appena: esso è l'accento lirico dell'umanità a quel tempo, la sua forma di essere, di credere, di sentire, di esprimersi".

Nessun commento: