mercoledì 29 dicembre 2021

Dante Alighieri, La Divina Commedia. Purgatorio. A cura di Natalino Sapegno. La Nuova Italia, 1962.

 La mia ascesa al monte Purgatorio non è stata una passeggiata, ma una escursione più faticosa della discesa all'Inferno. Ho avuto come guida Francesco De Sanctis. Il grande critico, che scrive in modo semplice e netto, mi ha sorretto e aiutato ad attraversare i passaggi più aridi e noiosi. La sua sensibilità e il suo senso estetico sono nutriti di un concreto sentimento della realtà, e per questo viene naturale trovarsi d'accordo con lui e condividere i suoi giudizi. Per arrivare al Dante che può essere amato e ammirato oggi, bisogna sfrondare questa seconda cantica, liberarla dalla teologia, dall'astronomia, dalla mitologia e dalle "aride liste di nomi e di fatti, soprattutto [dal]le allusioni politiche, allora così vive, e oggi morte". A questa scoperta dell'attualità di Dante, non ci aiutano, però, quei critici feticisti che, per esempio, fanno raffinatissime congetture sul significato allegorico dei dieci (in realtà nove) passi fatti da Beatrice nel canto 33° (vv 16 e 17); oppure quelli che spiegano che bisogna leggere il nome di Matelda, la bella donna del Paradiso terrestre, anagrammandolo in "ad laetam", cioè la donna che conduce Dante a Beatrice. Con questa azione di potatura che mi sembra necessaria, e che in pratica quasi tutti i superstiti lettori di Dante fanno, non penso affatto, però, che si debba ridurre la Divina Commedia a un'opera frammentaria costituita da isolati passi poetici. Il giornalista Cesare Lanza, che tiene una rubrica quotidiana di corbellerie su La Verità, recentemente, elencando le sue letture preferite,  metteva accanto a Giacomo Casanova "i passi più famosi della Divina Commedia". Ma per me la Divina Commedia, pur sfrondata delle sue parti più caratteristicamente medievali (che continuano naturalmente ad avere un valore storico), mantiene una meravigliosa compattezza narrativa, di stile e di ispirazione. La sua eterna attualità è fondata sul suo realismo severo ed aspro che si esprime in una lingua originale e potente, inconfondibile come la musica di Beethoven, e, come la musica di Beethoven, capace anche di immagini liriche e delicate. Apollo e Diana, il sole e la luna, sono "li due occhi del cielo". Il giorno ha momenti di grande dolcezza: "Già era l'aura d'ogni parte queta". De Sanctis scrive che Dante sorprende sempre e che "mentre  teologizza, scoppia la fiamma del sentimento". Quando incontra Matelda nel Paradiso terrestre, le rivolge la parola, e lei, che teneva gli occhi bassi, "di levar li occhi suoi mi fece dono". "Talora, scrive ancora De Sanctis, ti trovi innanzi ad una fredda allegoria, quando tutto ad un tratto vi senti dentro tremare la carne". Dante incontra Beatrice, mentre si sentono voci che cantano:

"Volgi, Beatrice, volgi li occhi santi / ..... al tuo fedele / che, per vederti, ha mossi passi tanti! / Per grazia fa noi grazia che disvele / a lui la bocca tua, sì che discerna / la seconda bellezza che tu cele".


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