Questo denso e cupo romanzo si legge tutto d'un fiato. La storia della famiglia Golovliòv è raccontata con un ritmo obiettivamente incalzante, perché in ciascuna fase della sua esistenza il groviglio dei rapporti di egoismo, odio, ipocrisia e avidità che legano i componenti della famiglia suscita nel lettore curiosità e attesa della tragedia che si sente incombere. Tragedia che apre la strada alle tragedie successive, fino alla morte di Porfiri Vladimirovic' Golovliòv, "ultimo rappresentante di una stirpe bacata". Il romanzo è cupo ma lucidissimo e non dà scampo. Non si salva nessuno: né i nobili proprietari, né i servi (ubriaconi o spie maligne o ladruncoli), né i preti (affogati anch'essi nella povertà, con mogli sfinite da gravidanze annuali, oppure timorosi e prudentemente diplomatici verso i ricchi possidenti), né gli ufficiali dell'esercito, che appaiono sullo sfondo, cinici e dediti alla gozzoviglia. Mi è sembrata dignitosa solo la risposta di un servo (la cui figura è appena abbozzata) alla giovane padrona che abbandonava il suo piccolo podere. "E ora che cosa farete?", chiede la signorina Anninka. E il servo risponde: "Vivremo". Il romanzo, nonostante il suo pessimismo, non è tuttavia privo di situazioni comiche. Quando certi difetti sono molto grandi, essi possono facilmente diventare ridicoli e persino divertenti. E il personaggio principale, Porfiri Vladimirovic', ultimo dei Golovliòv, è, a suo modo, anche comico. La bellezza del romanzo non è tanto nell'aver raccontato la catastrofe dei proprietari terrieri dopo l'abolizione della servitù della gleba, quanto nell'aver descritto i personaggi della storia con grande finezza e fermezza, fra i quali Porfiri Vladimirovic' è il tipo umano più eterno e universale. E' lo stesso Saltikov Scedrin che, alla fine del racconto, riassume la storia della famiglia Golovliòv. "Vi sono famiglie sulle quali grava una sorta di predestinazione. Ciò si riscontra con particolare frequenza tra la piccola nobiltà terriera che, senza occupazioni, senza influenza sociale, senza legami con la vita comune, si trova disseminata in tutta la Russia ed è vissuta, nel passato, sotto la protezione del regime della servitù, mentre ora, rimasta senza sostegno, finisce miseramente i suoi giorni nelle sue ville semidiroccate... Era questo il fato avverso che gravava sulla famiglia Golovliòv. Nel corso di varie generazioni, tre caratteristiche si erano ripetute attraverso la storia della famiglia: oziosità, inettitudine per qualsiasi genere di lavoro e tendenza all'ubriachezza. Le prime due portavano con sé superficialità morale, vaniloquio e sterilità mentale; la terza era la conclusione inevitabile di quel totale sfacelo... Tutti quei disgraziati [gli avoli e bisavoli] erano stati dei crapuloni, tracotanti, vuoti e infingardi, così che la famiglia Golovliòv sarebbe già prima caduta in sfacelo se in mezzo a quel caos di viziosi non fosse apparsa come una meteora Arina Petrovna. Grazie alla sua energia, ella aveva sollevato il livello di prosperità della famiglia fino al suo punto massimo; ma la sua fatica era andata sprecata, perché non soltanto non aveva trasmesso le sue qualità a nessuno dei suoi figli, ma era morta ella stessa imprigionata in quella rete di ozio, di vaniloquio, di vacuità di spirito e di cuore". Nei confronti del personaggio principale, Porfiri Vladimirovic', il sarcasmo di Saltikov Scedrin è implacabile. "Egli era un pedante sempre attaccato a quisquilie, sempre pronto a importunare il prossimo... Era ignorante oltre ogni limite, attaccabrighe, bugiardo e chiacchierone e, per giunta, aveva anche paura del diavolo... Era un individuo sozzo, bugiardo e cialtrone". Porfiri affrontava le situazioni difficili, secondo la sua abitudine, con "innumerevoli e verbosi discorsetti che avevano il solo merito di adattarsi a tutte le circostanze senza esprimere nessun pensiero coerente", accompagnandoli magari, ipocrita com'era, con un "viso soffuso di luce interiore e un sorriso celestiale sulle labbra". Sempre pronto a farsi scudo della religione e ad appellarsi alla volontà divina per giustificare i crimini della sua avidità, è anche così stupido da perdersi in infinite e sterili elucubrazioni. "Proprio allora ha cominciato un calcolo complicato: quanto ricaverebbe in un anno dalla vendita del latte se tutte le mucche del vicinato morissero, e soltanto le sue, con l'aiuto di Dio, scampassero alla moria?". A questo personaggio, rimasto completamente solo e odiato anche dalla servitù, caduto in "uno stato di ebetismo e di paura", Saltikov Scedrin, in uno slancio di generosità, attribuisce la capacità di pentirsi. Porfiri esce da casa di notte in veste da camera per recarsi sulla tomba della madre e chiederle perdono. Lo trovano morto la mattina dopo irrigidito dal gelo. L'autore sembra offrire con questo episodio un barlume di speranza, ma solo per un attimo e forse solo come remota possibilità, perché subito dopo, nelle poche righe conclusive, il suo pessimismo vede ricominciare una storia simile a quella appena narrata. Tutta l'eredità dei Golovliòv andrà a una cugina, Nadezda Ivànovna Galkina, "la quale, fin dall'autunno, seguiva con occhio vigile le vicende di Golovliovo".
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