Giacomo Leopardi, già duecento anni fa, aveva descritto la falsità e l’ipocrisia della società “politicamente corretta”. La società di
oggi non è nata all’improvviso, ma è la continuazione di quella di ieri e
dell’altro ieri. Le rotture storiche che ci sono state non ne hanno alterato le caratteristiche fondamentali. Le analisi di Leopardi e, per citare un altro grande visionario, di Balzac, seppur in due campi così diversi
come il romanzo e la riflessione morale, sono ancora attuali e anzi
convergenti. Oggi moltissime parole non si possono più pronunciare e molti
pensieri non si possono esprimere perché sono considerati sconvenienti e offendono
le orecchie delicatamente democratiche di chi guida l’opinione pubblica.
Leopardi, in una nota dello Zibaldone (16 febbraio
1821), scriveva che se “la vita è una commedia... oggidì è piuttosto una prova
di commedia, ovvero una di quelle rappresentazioni, che talvolta i collegiali
fanno per loro soli. Perché non ci sono più spettatori, tutti recitano, e la
virtù e le buone qualità che si fingono, nessuno le ha, e nessuno le crede
negli altri”.
Leopardi auspicava “che il mondo cessasse finalmente
di essere un teatro, e la vita diventasse per la prima volta, almeno dopo
lunghissimo tempo, un’azione vera”. Egli trovava che “il Galateo, le leggi, gl’insegnamenti
pubblici e privati, l’educazione de’ fanciulli, i libri di Morale, i vocabolari
ec.” si fossero adeguati e conformati all’ipocrisia della società. Perciò avrebbero
dovuto essere tutti corretti. “Così si toglierebbe agli uomini la necessità di
mentir sempre, e inutilmente;.... si ricondurrebbe la verità nel mondo”,
eliminando “questo linguaggio e queste maniere di convenzione, e questo genere
aereo ed inutile di bienséances, e di onore, e di riguardi... e la vita sarebbe
un fatto e non una rappresentazione: finalmente si concorderebbero una volta
insieme quelle due cose discordi ab aeterno, i detti e i fatti degli uomini”.
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