lunedì 4 novembre 2019

Giacomo Leopardi e la società politicamente corretta.


Giacomo Leopardi, già duecento anni fa, aveva descritto la falsità e l’ipocrisia della società “politicamente corretta”. La società di oggi non è nata all’improvviso, ma è la continuazione di quella di ieri e dell’altro ieri. Le rotture storiche che ci sono state non ne hanno alterato le caratteristiche fondamentali. Le analisi di Leopardi e, per citare un altro grande visionario, di Balzac, seppur in due campi così diversi come il romanzo e la riflessione morale, sono ancora attuali e anzi convergenti. Oggi moltissime parole non si possono più pronunciare e molti pensieri non si possono esprimere perché sono considerati sconvenienti e offendono le orecchie delicatamente democratiche di chi guida l’opinione pubblica.
Leopardi, in una nota dello Zibaldone (16 febbraio 1821), scriveva che se “la vita è una commedia... oggidì è piuttosto una prova di commedia, ovvero una di quelle rappresentazioni, che talvolta i collegiali fanno per loro soli. Perché non ci sono più spettatori, tutti recitano, e la virtù e le buone qualità che si fingono, nessuno le ha, e nessuno le crede negli altri”.
Leopardi auspicava “che il mondo cessasse finalmente di essere un teatro, e la vita diventasse per la prima volta, almeno dopo lunghissimo tempo, un’azione vera”. Egli trovava che “il Galateo, le leggi, gl’insegnamenti pubblici e privati, l’educazione de’ fanciulli, i libri di Morale, i vocabolari ec.” si fossero adeguati e conformati all’ipocrisia della società. Perciò avrebbero dovuto essere tutti corretti. “Così si toglierebbe agli uomini la necessità di mentir sempre, e inutilmente;.... si ricondurrebbe la verità nel mondo”, eliminando “questo linguaggio e queste maniere di convenzione, e questo genere aereo ed inutile di bienséances, e di onore, e di riguardi... e la vita sarebbe un fatto e non una rappresentazione: finalmente si concorderebbero una volta insieme quelle due cose discordi ab aeterno, i detti e i fatti degli uomini”.

Nessun commento: