Dopo l’episodio della nave Sea Watch, carica di migranti, comandata dalla giovane Carola Rackete, i
giornalisti alfieri dell'accoglienza volano a sciami con i loro pungiglioni per fare a pezzi
Salvini e gli italiani che lui ha reso cattivi. Il Fatto Quotidiano, stagno di
acque ferme, alimenta molte di queste zanzare.
Oggi Alessandro Robecchi, uno degli autori del bravo ma spesso prolisso
Maurizio Crozza, pubblica un articolo straordinario di cui riporto due
passaggi:
“… ora che il Paese pare essersi
piegato alle scemenze del tipo ‘non possiamo accoglierli tutti’, ora, dico –
qui e ora – per i famosi italiani che vengono ‘prima’, è cambiato qualcosa?
Voglio dire: più reddito? Migliori condizioni di lavoro e di vita? Sono forse
più felici? Garruli? Spensierati? Guardano al futuro con rinnovata fiducia?”.
Immagino che Robecchi non si accontenterebbe di una risposta mediocre, del
tipo che, riducendo gli arrivi di migranti, forse la situazione sociale non
peggiorerebbe. Uno che scrive a quel modo, con idee rigide e categoriche e lo spirito pieno di leggerezza, pretende che la
politica di contenimento dia la felicità completa a chi la sostiene, altrimenti,
oltre che disumana, sarebbe anche un totale fallimento.
L’altro passaggio umoristico è questo:
“Nessuno di loro [parla dei terremotati], nemmeno per
un istante, pensa di non riavere una casa, o il suo centro storico, o le
scuole, per colpa di una quarantina di naufraghi stipati su una barca a vela”.
Ma, a parte il fatto che il problema non è costituito né da quaranta né da
quattrocento e nemmeno da quattromila naufraghi, che ne sa Robecchi di quello
che pensano i terremotati?
Robecchi scrive con tanta imperturbabile sbadataggine, che il suo articolo, invece che una difesa dell'accoglienza, sembra una parodia del buonismo.


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