
Anche in un articolo breve (come quello odierno sul libro di Walter Veltroni “Roma”), Furio Colombo profonde la sua logorrea. E riesce a mettere insieme concetti e giudizi così disparati, incoerenti e arbitrari che per sottolinearli tutti ci vorrebbe la pazienza dello shangai, il gioco più lento del mondo. Che Veltroni sia uno scrittore “accorto e pacato”, può darsi (io però preferisco definirlo, senza eufemismi, “piatto e noioso”), ma che come sindaco abbia lavorato “con una vera e propria volontà di governo”, penso che non ci creda quasi nessuno. Affermare che “il mondo (non solo in Italia) è paurosamente cambiato dopo l’avvento di Trump”, rivela una preoccupante ossessione che vorrebbe far sembrare idilliaco il mondo precedente. Il mondo cambiava velocissimamente già prima di Trump e quei cambiamenti (non voglio elencare le guerre fatte dagli USA) erano già molto spaventosi. Dire che Veltroni, nel suo “caldo e civile” intervento su Repubblica, abbia vissuto l’accoglienza ai migranti “allo stesso tempo come un dovere e una festa”, coglie forse un sentimento sincero. Veltroni è pur sempre il dolce Veltroni, campione di ma-anchismo (il dovere, sì, però anche la festa!!). Ma che Furio Colombo, consentendo con lui, avvalori quei sentimenti zuccherosi come gli unici giusti e indiscutibili, è una mistificazione della realtà. Altra più grave mistificazione è tirare in ballo i fantasmi di Gobetti, Lussu e dei fratelli Rosselli come oppositori della legge “Sicurezza bis”. E' sicuro Furio Colombo che quei grandi uomini del passato su un fenomeno imponente, complesso e ambiguo come l’immigrazione avrebbero oggi le sue stesse idee? E poi: che cosa ha a che fare con loro il nostro giornalista poligrafo e grafomane?
Anche l’ultima frase di Colombo è una insopportabile mistificazione, perché, con ridicolo pathos ciceroniano, dà di un fatto tragico una rappresentazione semplificata e piatta come la scena di un fumetto.
"Fino a quando vorremo vivere in un Paese in cui si porta in trionfo come un simbolo della Repubblica uno che spara dal balcone sette colpi alla schiena di un ladruncolo in fuga?". Quella persona indicata con tanto disprezzo ("uno") aveva subìto già molti furti e non viene portata in trionfo, ma semmai giustificata; la parola "ladruncolo" è un eufemismo ipocrita; i rapinatori erano tre; le indagini sono ancora in corso e le certezze di Colombo sono arbitrarie.
Quando le idee non sanno tener conto dei sentimenti e anzi, ignorandoli, vogliono imporsi con superbia alla realtà, la pietà è finta e lo sdegno è retorico. Di autentico, c'è solo la presunzione.
"Fino a quando vorremo vivere in un Paese in cui si porta in trionfo come un simbolo della Repubblica uno che spara dal balcone sette colpi alla schiena di un ladruncolo in fuga?". Quella persona indicata con tanto disprezzo ("uno") aveva subìto già molti furti e non viene portata in trionfo, ma semmai giustificata; la parola "ladruncolo" è un eufemismo ipocrita; i rapinatori erano tre; le indagini sono ancora in corso e le certezze di Colombo sono arbitrarie.
Quando le idee non sanno tener conto dei sentimenti e anzi, ignorandoli, vogliono imporsi con superbia alla realtà, la pietà è finta e lo sdegno è retorico. Di autentico, c'è solo la presunzione.

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