Angelo Tasca (1892-1960) fu espulso dal Partito comunista nel 1929 per il
suo antistalinismo. Questo libro originale uscì prima in Gran Bretagna e subito
dopo in Francia. Nella lunga prefazione all’edizione italiana, pubblicata solo
nel 1950, Tasca scrive: “… intendevo, tra
l’altro, combattere la leggenda, così diffusa specie all’estero, che il fascismo
avesse salvato l’Italia dal ‘bolscevismo’, leggenda a cui manca anche quel
nocciolo di verità che talora le leggende amplificano e trasfigurano… Il ‘bolscevismo’
si è distrutto da sé, sotto il peso della propria stupidità e impotenza”.
Nel libro Tasca è martellante su questo concetto: “Non è il fascismo che ha vinto la rivoluzione, è l’inconsistenza della
rivoluzione che provoca il sorgere del fascismo”.
Per rafforzare questa interpretazione, cita lo storico inglese Bolton King,
che egli considera autore della migliore storia del Risorgimento italiano:
“Il fascismo non ha avuto alcuna
parte nella disfatta del bolscevismo; esso non era ancora abbastanza forte per
esercitare un’azione sensibile qualunque; al contrario Mussolini approvò
allegramente l’occupazione delle fabbriche. Non ha nessuna consistenza il mito
che egli abbia salvato l’Italia dal bolscevismo; ma è un mito che al fascismo
conviene e che vive ancora negli angoli morti dell’opinione pubblica”.
Quando uscì, nel 1938, il libro fu recensito da molti socialisti italiani
in esilio. Emilio Lussu lo definì “un gran libro […] scritto con tale onestà e
coraggio di critica da porsi fra i grandi scrittori politici del nostro tempo”.
Aldo Garosci esaltò l’eccezionale misura del militante che sa farsi storico. P.
Emiliani vide nel libro “il germe della riscossa proletaria che noi prepariamo
e condurremo a fine”. La rivista ‘Problemi della Rivoluzione italiana’ gli
dedicò un numero speciale. Giudizi entusiastici vennero anche da Gaetano
Salvemini, Marc Bloch, Lucien Febvre. Nessuna recensione, invece, venne da
parte comunista, ricorda Sergio Soave nel breve saggio introduttivo.
Scrivendo nel 1950 la prefazione all’edizione italiana, Tasca, severo coi
comunisti anche nel secondo dopoguerra, parla del “perdurare di mentalità e di
metodi di un ‘fascismo’ che deve essere vinto, anche quando la falce e il
martello sostituiscono il littorio, e qualunque
siano le forme della sua nuova incarnazione”. Perché, egli scrive, “tutte le istituzioni
fatalmente tendono a vivere di vita propria, indipendentemente dalle ragioni
che le hanno create… Ogni rivoluzionario deve essere dotato di un vivace
spirito critico… Lo spirito anarchico è un elemento vitale integrante quello
rivoluzionario, di cui garantisce la freschezza e la continuità… Esso è il
fermento che impedisce la morte dell’idea, e, come tale, lo accogliamo nella
nostra coscienza”. Tasca è un umanista, e crede che “possono educare veramente
alla libertà solo coloro che sono pronti a condannare se stessi per averla
compromessa e quindi lasciata calpestare”.
Quando ero ancora un adolescente, tra la fine degli anni Cinquanta e i
primi anni Sessanta, ed ero un semplice ma fiducioso militante del PCI, nella
quotidiana attività delle sezioni di partito, Angelo Tasca e il suo libro non
erano mai nominati o si accennava a lui come a un reprobo e a un traditore.
Togliatti, nel libro del 1953
‘Conversando con Togliatti’ a cura di Marcella e Maurizio Ferrara (i genitori
del grande Giuliano), lo tratta, se non ricordo male, anche da ignorante. La
vicinanza al PCI e la fiducia, non dico puerile ma certo irrazionale o forse
velleitaria, nel comunismo, mi hanno fatto scoprire certi autori e certe idee troppo
tardi e con fatica.
Tasca non è solo uno storico, ma, come i grandi storici che hanno vissuto
le vicende che raccontano, è anche un grande moralista. Del suo libro dice: “E’ come un braciere inesauribile da cui
partiranno scintille che potranno illuminare le coscienze, turbarle, dar loro
fuoco, ove ci sia materia d’incendio. […]…
quel fuoco potrà essere ritrovato da nuove generazioni. […] L’umanità
non ha altra storia che questa ‘trasmigrazione’ di anime nei secoli”.
Tasca è animato da un principio morale che ha una forza rivoluzionaria dirompente:
“Per mettere in pace la propria
coscienza non basta pensare la verità […] Bisogna proclamarla in tempo utile,
quando gli eventi premono e impegnano, proclamarla nella sua nudità, senza
riguardi”.
Per questo Tasca respinge il giustificazionismo e lo storicismo, “risorsa
suprema di tutti gli imbroglioni”, di quei politici che cercano alibi per
assolversi dai propri errori. Contro questa pigra tendenza, Tasca afferma il
valore essenziale della coscienza e della responsabilità della persona. Quindi i fatti della storia vanno giudicati da un
punto di vista morale e filosofico autonomo e indipendente dai fatti medesimi.
Questa è la condizione per restituire al socialismo il suo compito di scoperta
e di affermazione dell’universale.
La grande forza e acutezza di ritrattista, concentrato solo sulle
caratteristiche morali e intellettuali dei suoi personaggi, derivano a Tasca da
questa coscienza altissima, che forse gli fa considerare come una frivolezza
letteraria l’attenzione anche alle caratteristiche fisiche.
(continua al post successivo)
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