martedì 30 aprile 2019

Angelo Tasca, Nascita e avvento del fascismo. La Nuova Italia, 2002. 1^ puntata.


Angelo Tasca (1892-1960) fu espulso dal Partito comunista nel 1929 per il suo antistalinismo. Questo libro originale uscì prima in Gran Bretagna e subito dopo in Francia. Nella lunga prefazione all’edizione italiana, pubblicata solo nel 1950, Tasca scrive: “… intendevo, tra l’altro, combattere la leggenda, così diffusa specie all’estero, che il fascismo avesse salvato l’Italia dal ‘bolscevismo’, leggenda a cui manca anche quel nocciolo di verità che talora le leggende amplificano e trasfigurano… Il ‘bolscevismo’ si è distrutto da sé, sotto il peso della propria stupidità e impotenza”.
Nel libro Tasca è martellante su questo concetto: “Non è il fascismo che ha vinto la rivoluzione, è l’inconsistenza della rivoluzione che provoca il sorgere del fascismo”.
Per rafforzare questa interpretazione, cita lo storico inglese Bolton King, che egli considera autore della migliore storia del Risorgimento italiano:
“Il fascismo non ha avuto alcuna parte nella disfatta del bolscevismo; esso non era ancora abbastanza forte per esercitare un’azione sensibile qualunque; al contrario Mussolini approvò allegramente l’occupazione delle fabbriche. Non ha nessuna consistenza il mito che egli abbia salvato l’Italia dal bolscevismo; ma è un mito che al fascismo conviene e che vive ancora negli angoli morti dell’opinione pubblica”.
Quando uscì, nel 1938, il libro fu recensito da molti socialisti italiani in esilio. Emilio Lussu lo definì “un gran libro […] scritto con tale onestà e coraggio di critica da porsi fra i grandi scrittori politici del nostro tempo”. Aldo Garosci esaltò l’eccezionale misura del militante che sa farsi storico. P. Emiliani vide nel libro “il germe della riscossa proletaria che noi prepariamo e condurremo a fine”. La rivista ‘Problemi della Rivoluzione italiana’ gli dedicò un numero speciale. Giudizi entusiastici vennero anche da Gaetano Salvemini, Marc Bloch, Lucien Febvre. Nessuna recensione, invece, venne da parte comunista, ricorda Sergio Soave nel breve saggio introduttivo.
Scrivendo nel 1950 la prefazione all’edizione italiana, Tasca, severo coi comunisti anche nel secondo dopoguerra, parla del “perdurare di mentalità e di metodi di un ‘fascismo’ che deve essere vinto, anche quando la falce e il martello sostituiscono il littorio, e qualunque  siano le forme della sua nuova incarnazione”.  Perché, egli scrive, “tutte le istituzioni fatalmente tendono a vivere di vita propria, indipendentemente dalle ragioni che le hanno create… Ogni rivoluzionario deve essere dotato di un vivace spirito critico… Lo spirito anarchico è un elemento vitale integrante quello rivoluzionario, di cui garantisce la freschezza e la continuità… Esso è il fermento che impedisce la morte dell’idea, e, come tale, lo accogliamo nella nostra coscienza”. Tasca è un umanista, e crede che “possono educare veramente alla libertà solo coloro che sono pronti a condannare se stessi per averla compromessa e quindi lasciata calpestare”.
Quando ero ancora un adolescente, tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, ed ero un semplice ma fiducioso militante del PCI, nella quotidiana attività delle sezioni di partito, Angelo Tasca e il suo libro non erano mai nominati o si accennava a lui come a un reprobo e a un traditore. Togliatti, nel libro  del 1953 ‘Conversando con Togliatti’ a cura di Marcella e Maurizio Ferrara (i genitori del grande Giuliano), lo tratta, se non ricordo male, anche da ignorante. La vicinanza al PCI e la fiducia, non dico puerile ma certo irrazionale o forse velleitaria, nel comunismo, mi hanno fatto scoprire certi autori e certe idee troppo tardi e con fatica.
Tasca non è solo uno storico, ma, come i grandi storici che hanno vissuto le vicende che raccontano, è anche un grande moralista. Del suo libro dice: “E’ come un braciere inesauribile da cui partiranno scintille che potranno illuminare le coscienze, turbarle, dar loro fuoco, ove ci sia materia d’incendio. […]…  quel fuoco potrà essere ritrovato da nuove generazioni. […] L’umanità non ha altra storia che questa ‘trasmigrazione’ di anime nei secoli”.
Tasca è animato da un principio morale  che ha una forza rivoluzionaria dirompente:
“Per mettere in pace la propria coscienza non basta pensare la verità […] Bisogna proclamarla in tempo utile, quando gli eventi premono e impegnano, proclamarla nella sua nudità, senza riguardi”.
Per questo Tasca respinge il giustificazionismo e lo storicismo, “risorsa suprema di tutti gli imbroglioni”, di quei politici che cercano alibi per assolversi dai propri errori. Contro questa pigra tendenza, Tasca afferma il valore essenziale della coscienza e della responsabilità della persona. Quindi  i fatti della storia vanno giudicati da un punto di vista morale e filosofico autonomo e indipendente dai fatti medesimi. Questa è la condizione per restituire al socialismo il suo compito di scoperta e di affermazione dell’universale.
La grande forza e acutezza di ritrattista, concentrato solo sulle caratteristiche morali e intellettuali dei suoi personaggi, derivano a Tasca da questa coscienza altissima, che forse gli fa considerare come una frivolezza letteraria l’attenzione anche alle caratteristiche fisiche.
               (continua al post successivo)

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