Quest'opera di Nino Valeri (1897-1978) vinse nel 1956 il premio
Viareggio per la saggistica. Nonostante sia corredato da molti documenti d’archivio, è uno smilzo libretto scritto come un diario o come un reportage giornalistico. Le
sue considerazioni di storico, venendo dopo tanti libri più impegnati e drammatici, mi sono sembrate scontate. E alcuni suoi giudizi, specialmente quello in difesa dell’antifascismo
di Benedetto Croce, ritenuto dai suoi critici (soprattutto da Salvemini) troppo passivo e tiepido, vogliono sembrare molto
equilibrati, ma sono piuttosto ipocriti e fiacchi.
Tuttavia alcuni passi sono interessanti e arguti.
Valeri cita un libro di Umberto Foscanelli, che aveva lavorato a Fiume a
stretto contatto con D’Annunzio, e scrive che esso “ci dà la chiave per
intendere, se non proprio il segreto ultimo, certo uno dei più importanti
arcani di quell’arte di seduzione politica: ‘Il Comandante, per una superiore
squisitezza di pensiero e di stile, non suol chiamare mai, nei suoi discorsi e
nei suoi scritti, le cose con il nome comune’.
Qui veramente, scrive Valeri, si dischiude uno spiraglio di luce.
La tecnica di seduzione dannunziana “consisteva in sostanza, nella capacità
di imbonire l’interlocutore (o gli interlocutori o le folle) mediante il
richiamo a un qualche cosa di superiore e di ineffabile (superiore in quanto
ineffabile, e ineffabile in quanto superiore) destinato a unire magicamente l’oratore
e gli ascoltatori in una categoria di eletti, veleggianti al di sopra della
mesta arena, dove vivono come bruti gli uomini intenti alla fatica quotidiana e
ai pasti: lenti, tardi, ignari della spiritualità, rinunciatari, pacifisti,
ventrosi, bovini, brutti. […] La caratteristica propria del metodo di D’Annunzio
rimane… il mistero, il dare alle cose comuni nomi vaghi e leggiadri, l’innalzare
il noto, grigio e banale, alla dignità dell’ignoto… Con questo sistema riuscì a
ridurre via via gli avversari e i tiepidi, costringendoli o a intrupparsi nel
suo gregge, come patiti, beneficati, toccati dalla sua grazia e aderenti a una
superiore Idealità o Religione o Bontà o Arte, prive di qualunque contenuto
concreto e intraducibile in terrestri parole; oppure a rassegnarsi ad entrare
nella categoria dei cretini o degli ignavi, nati a pascolare col grugno per
terra nella prateria della vita”.
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