giovedì 23 novembre 2017

Il 'senatore' Eugenio Scalfari.

E' dai giorni del sequestro e della uccisione di Aldo Moro, quando assunse delle pose solenni da antico romano per difendere in modo retorico le istituzioni e lo Stato al prezzo della vita dello statista democristiano, che Eugenio Scalfari ha smesso di essere un vero intellettuale. La sua carriera successiva ha confermato che quelle pose erano solo una finzione e una recita. Nel 2012, a proposito delle indagini sulla trattativa Stato-mafia, Scalfari, con l'intento di minimizzarla, scrisse su Repubblica (19 agosto): "Quando è in corso una guerra, la trattativa tra le parti è pressoché inevitabile per limitare i danni... Qual è dunque il reato che si cerca, la verità che si vuole conoscere?".
Oggi, con la sua virtuale scelta per Berlusconi, anche quella finzione è ridotta in cenere, e Scalfari non è più nemmeno giornalista ma soltanto un uomo della strada, popolo, anzi popolaccio, che, come ha scritto Seneca nella Fedra, “gode nell’affidare il potere al turpe” (tradere turpi fasces populus gaudet).

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