mercoledì 1 febbraio 2017

Commenti a due articoli di Alfonso Berardinelli su Il Foglio.




“Guai a chi governa”, 6 dicembre 2016.

 Questo articolo non sembra scritto da quello stesso Berardinelli che dirigeva ‘Diario’ con Piergiorgio Bellocchio e che in passato ha scritto così bene su Simone Weil. Vi sono riprese tutte le baggianate diffuse a profusione da TV, giornali, banche, finanzieri, manager e confindustriali. Renzi sarebbe solo contro tutti? Ma dove vive Berardinelli? Non si è nemmeno accorto che Berlusconi ha fatto solo finta di essere per il No. Il deprecato odio, poi, quando è motivato, è un sentimento utile e nobile; ma Berardinelli sembra provarlo solo nella sua forma più fisica. D’Alema sarà certamente odioso, ma la sua campagna per il No, condotta senza il sostegno di un apparato burocratico, in campo aperto, esposto alle insinuazioni di tipi come Umberto Galimberti e Paolo Crepet, è stata singolarmente coraggiosa. Nel lungo scontro sul referendum per la riforma costituzionale, qualcuno ha ritrovato se stesso, mentre molti hanno rinnegato la propria storia.
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“La democrazia è in crisi da sempre, e l’Italia fratricida non fa rivoluzioni”, 11 gennaio 2017.


 “Gli italiani non sono parricidi, ma sono fratricidi”, si rammarica Berardinelli, ripetendo Umberto Saba. Mi permetto di aggiungere che molti di essi, soprattutto fra gli intellettuali, sembrano essere preferibilmente dei fiacchi suicidi. Nel suo articolo del 6 dicembre scorso Berardinelli definiva impresentabile l’accozzaglia del No e scriveva che Renzi ha pagato il prezzo della sua diversità, della sua distanza dal vecchio ceto politico. Renzi è davvero diverso dai vecchi politici e politicanti? Uno studioso appassionato di letteratura come Berardinelli dovrebbe sentire l’inconsistenza culturale e politica del personaggio, a cui solo l’immensa e spregiudicata ambizione dà un rilievo pubblico. L’accozzaglia del No aveva una sua logica e una sua naturale e spontanea necessità. L’accozzaglia veramente scandalosa fu invece quella che partecipò alle primarie dell’8 dicembre 2013, unicamente dalle quali Renzi ha tratto tutta l'autorità che ancora mantiene e il suo presunto carisma. Egli è stato eletto segretario col voto non solo di cittadini iscritti, ma anche di persone lontanissime dal PD, di simpatizzanti di partiti avversari e di gente qualunque, che andò a votare come per un concorso di bellezza.

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