mercoledì 4 gennaio 2017

Eugenio Scalfari: la sua parabola intellettuale è veramente finita.


Eugenio Scalfari mi piaceva molto durante gli anni Ottanta, quando criticava quotidianamente Bettino Craxi, segretario del Partito socialista e dominus, per qualche anno, della politica italiana.
Benché fossi già quarantenne, ero ancora politicamente sprovveduto e non mi accorsi che, nella lunga carriera a zig-zag di Scalfari, gli articoli di quel periodo, che pure apprezzavo, costituivano solo il breve tratto di uno zig o forse di uno zag.
Solo in anni recenti, purtroppo, sono stato capace di valutare quanto fosse crudele e inutile la posizione assunta da Scalfari, nella primavera del 1978, durante il sequestro di Aldo Moro.
“La decisione da prendere, scrisse, è terribile, perché si tratta di sacrificare la vita di un uomo o di perdere la Repubblica. Purtroppo, per i democratici la scelta non consente dubbi”.
Dopo l’uccisione di Moro, l’ex capo dello Stato Giuseppe Saragat osservò: “Accanto al cadavere di Moro c’è anche il cadavere della prima Repubblica”.
Eugenio Scalfari avrebbe allora dovuto smentire l’on. Saragat e dire: “Non è vero! Anzi è vero il contrario: la Repubblica adesso è più salda e più forte!”.
Oppure avrebbe dovuto ammettere con dolore: “Abbiamo sbagliato: abbiamo lasciato che Moro fosse ucciso e non abbiamo salvato la Repubblica”.
Invece Scalfari, che vuole sempre apparire solenne e severo come un antico romano, dette ragione a Saragat, senza provare né dubbi né rimorsi.
Lo storico Paul Ginsborg ha scritto che, in risposta a Saragat, “Eugenio Scalfari ammonì: ‘Quello che Saragat teme può diventare realtà solo se tutti insieme non affronteremo l’opera di rifondare la prima Repubblica’ ”.
Non si era mai sentito un ammonimento, o un auspicio, più vacuo e retorico di questo. Qualche anno più tardi si vide, infatti, che i politici della prima repubblica finivano a frotte nelle patrie galere, e i partiti messi in liquidazione.
Ma Scalfari continuò (e continua ancora oggi) a dispensare imperterrito ammonimenti e consigli.
Sempre Paul Ginsborg, nella sua ‘Storia d’Italia, 1943-1996’, scriveva:
“Eugenio Scalfari, in uno dei suoi tanti editoriali catastrofici ma spesso salutari..., così riassumeva la situazione nel settembre 1991: 'La verità è che questo Stato è fallito. Lo sappiamo tutti. Qualcuno lo dice, la maggioranza nasconde la testa nella sabbia'."
Eppure meno di un anno prima (21 ottobre '90) Scalfari aveva scritto sul suo giornale che le istituzioni erano vive e robuste. Parlando dei 421 fogli scritti da Aldo Moro durante la prigionia e ritrovati in quell'autunno del '90, Scalfari aveva affermato che essi non contenevano niente di nuovo, ma solo "l'odio di Moro contro Zaccagnini, Andreotti, Cossiga, Berlinguer, colpevoli ai suoi occhi di rifiutare ciò che gli uomini delle Brigate rosse pretendevano".
E dopo un giudizio così inaspettatamente impietoso e rozzo, Scalfari aggiungeva, come definitiva e rassicurante conclusione, che il ritrovamento degli appunti di Moro avrebbe potuto screditare le istituzioni e gli uomini che le rappresentano, ma "non pare che l'obiettivo sia stato raggiunto".
Il pensiero di Scalfari procede così, a zig-zag, fino ai nostri giorni, ora decretando (in modo retorico) il fallimento dello stato, contrapposto a una società civile più attiva, più intelligente e democratica, ora riaccreditando invece (in modo sostanziale) uomini politici e istituzioni, contro i 'populismi' della società civile.
Beppe Grillo, per esempio, già agli albori del suo movimento, fu bollato da Scalfari con sorprendente violenza ("Grillo impersona il peggio dell'italiano; è l'arcitaliano del peggio"), mentre Gianfranco Fini, che politicamente era solo una espressione inerte e burocratica delle nostre istituzioni malate, è stato, nella fase del suo distacco da Berlusconi, lusingato e difeso.
Negli ultimi anni Scalfari e il suo giornale hanno favorito l’ascesa di Matteo Renzi al potere e hanno spacciato per vera la sua fasulla capacità di statista.
Adesso, dopo che la riforma costituzionale renziana è stata travolta da quasi venti milioni di No, Scalfari fa ancora il grillo parlante con un lungo articolo su Repubblica del 31 dicembre scorso.
Lo stile è sempre quello di un presuntuoso studente di liceo classico.
L'articolo comincia così, proprio così, con questi stupefacenti interrogativi:
“Spesso mi chiedo dove e come è nato l’Occidente, la sua cultura, la sua potenza ed anche le sue debolezze; ma non so rispondere”.
Poi Scalfari svolge una lunga serie di osservazioni e di opinioni trascurabili e un po’ caotiche.
Termina col suggerimento a Renzi di non chiedere le elezioni anticipate e di lasciare che il Parlamento arrivi alla scadenza naturale. Solo allora dovrà presentarsi alle elezioni e vincerle.
“Tu nel frattempo ti dedichi al tuo partito, alla sinistra in Italia e in Europa e nei momenti liberi porta i figli a scuola e occupati della famiglia. Leggi libri utili e belli”.
E dopo questi consigli vuoti ed edificanti, Scalfari conclude:
“Avrai un lungo avvenire politico davanti. Sei un uomo di talento e di capacità decisionali ed anche di carisma politico... Grazie”.

Di fronte a una visione così mistica, la ragione non ha più argomenti e si arrende.

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