Eugenio
Scalfari mi piaceva molto durante gli anni Ottanta, quando criticava quotidianamente Bettino
Craxi, segretario del Partito socialista e dominus,
per qualche anno, della politica
italiana.
Benché fossi già
quarantenne, ero ancora politicamente sprovveduto e non mi accorsi che, nella lunga carriera a
zig-zag di Scalfari, gli articoli di quel periodo, che pure apprezzavo, costituivano solo il breve tratto di uno zig o forse di uno zag.
Solo in anni recenti,
purtroppo, sono stato capace di valutare quanto fosse crudele e inutile la posizione assunta da
Scalfari, nella primavera del 1978, durante il sequestro di Aldo Moro.
“La decisione da
prendere, scrisse, è terribile, perché si tratta di sacrificare la vita di un
uomo o di perdere la Repubblica. Purtroppo, per i democratici la scelta non
consente dubbi”.Dopo l’uccisione di Moro, l’ex capo dello Stato Giuseppe Saragat osservò: “Accanto al cadavere di Moro c’è anche il cadavere della prima Repubblica”.
Eugenio Scalfari
avrebbe allora dovuto smentire l’on. Saragat e dire: “Non è vero! Anzi è vero
il contrario: la Repubblica adesso è più salda e più forte!”.
Oppure avrebbe
dovuto ammettere con dolore: “Abbiamo sbagliato: abbiamo lasciato che Moro fosse
ucciso e non abbiamo salvato la Repubblica”.
Invece Scalfari,
che vuole sempre apparire solenne e severo come un antico romano, dette ragione
a Saragat, senza provare né dubbi né rimorsi.
Lo storico Paul Ginsborg ha scritto che, in risposta a Saragat,
“Eugenio Scalfari ammonì: ‘Quello che Saragat teme può diventare realtà solo se
tutti insieme non affronteremo l’opera di rifondare la prima Repubblica’ ”.
Non si era mai
sentito un ammonimento, o un auspicio, più vacuo e retorico di questo. Qualche
anno più tardi si vide, infatti, che i politici della prima repubblica
finivano a frotte nelle patrie galere, e i partiti messi in liquidazione.
Ma Scalfari
continuò (e continua ancora oggi) a dispensare imperterrito ammonimenti e
consigli.
Sempre Paul
Ginsborg, nella sua ‘Storia d’Italia, 1943-1996’, scriveva:
“Eugenio Scalfari,
in uno dei suoi tanti editoriali catastrofici ma spesso salutari..., così
riassumeva la situazione nel settembre 1991: 'La verità è che questo Stato è
fallito. Lo sappiamo tutti. Qualcuno lo dice, la maggioranza nasconde la testa
nella sabbia'."
Eppure meno di un anno prima (21 ottobre '90) Scalfari
aveva scritto sul suo giornale che le istituzioni erano vive e robuste.
Parlando dei 421 fogli scritti da Aldo Moro durante la prigionia e ritrovati in
quell'autunno del '90, Scalfari aveva affermato che essi non contenevano niente
di nuovo, ma solo "l'odio di Moro contro Zaccagnini, Andreotti, Cossiga,
Berlinguer, colpevoli ai suoi occhi di rifiutare ciò che gli uomini delle
Brigate rosse pretendevano".
E dopo un giudizio
così inaspettatamente impietoso e rozzo, Scalfari aggiungeva, come
definitiva e rassicurante conclusione, che il ritrovamento degli appunti di Moro avrebbe
potuto screditare le istituzioni e gli uomini che le rappresentano, ma
"non pare che l'obiettivo sia stato raggiunto". Il pensiero di Scalfari procede così, a zig-zag, fino ai nostri giorni, ora decretando (in modo retorico) il fallimento dello stato, contrapposto a una società civile più attiva, più intelligente e democratica, ora riaccreditando invece (in modo sostanziale) uomini politici e istituzioni, contro i 'populismi' della società civile.
Beppe Grillo, per esempio, già agli albori del suo movimento, fu bollato da Scalfari con sorprendente violenza ("Grillo impersona il peggio dell'italiano; è l'arcitaliano del peggio"), mentre Gianfranco Fini, che politicamente era solo una espressione inerte e burocratica delle nostre istituzioni malate, è stato, nella fase del suo distacco da Berlusconi, lusingato e difeso.
Negli ultimi anni
Scalfari e il suo giornale hanno favorito l’ascesa di Matteo Renzi al potere e hanno spacciato
per vera la sua fasulla capacità di statista.
Adesso, dopo che
la riforma costituzionale renziana è stata travolta da quasi venti milioni di
No, Scalfari fa ancora il grillo parlante con un lungo articolo su Repubblica
del 31 dicembre scorso.
Lo stile è sempre
quello di un presuntuoso studente di liceo classico.
L'articolo comincia così,
proprio così, con questi stupefacenti interrogativi:
“Spesso mi chiedo
dove e come è nato l’Occidente, la sua cultura, la sua potenza ed anche le sue
debolezze; ma non so rispondere”.
Poi Scalfari
svolge una lunga serie di osservazioni e di opinioni trascurabili e un po’
caotiche. Termina col suggerimento a Renzi di non chiedere le elezioni anticipate e di lasciare che il Parlamento arrivi alla scadenza naturale. Solo allora dovrà presentarsi alle elezioni e vincerle.
“Tu nel frattempo
ti dedichi al tuo partito, alla sinistra in Italia e in Europa e nei momenti liberi
porta i figli a scuola e occupati della famiglia. Leggi libri utili e belli”.
E dopo questi consigli
vuoti ed edificanti, Scalfari conclude:“Avrai un lungo avvenire politico davanti. Sei un uomo di talento e di capacità decisionali ed anche di carisma politico... Grazie”.
Di fronte a una
visione così mistica, la ragione non ha più argomenti e si arrende.
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