sabato 24 settembre 2016

Georges Bernanos, I grandi cimiteri sotto la luna. Oscar Mondadori, 1992.



Non è di facile lettura, questo libro, scritto con l’irruente immediatezza e lo spirito intenso ma divagante di un discorso interiore o di un diario.
Il libro è noto per la sua denuncia delle stragi compiute dai fascisti spagnoli nell’isola di Maiorca dal luglio del 1936 al marzo del 1937. Quei massacri, di cui l’autore, che abitava nell’isola, fu quasi testimone oculare, benché raccontati nel libro molto brevemente, furono la scintilla che dette avvìo al lungo e complesso discorso di Bernanos, che è una meditazione frammentaria ma ricca e profonda sull’uomo, la società e la politica, sull’importanza del denaro e sulle classi sociali, sulla guerra, sulla Chiesa, sul nazismo e sulla storia di Francia.
Tutte le opinioni di Bernanos, a volte espresse in forma poetica,  sono illuminanti; spesso, come tutte le opinioni che non nascono da intellettualismo ma dal profondo della coscienza e da un sofferto sentimento della realtà, sono profetiche e valide ancora oggi.
Già dalle prime pagine l’autore sembra scettico sulla possibilità che il suo libro trovi ascolto, e sembra accingersi a scrivere soprattutto per una necessità interiore, per adempiere a un dovere morale.
“Singolare idea, questa, di scrivere per coloro che disprezzano la scrittura, amara ironia voler persuadere e convincere, quando sempre più si fa strada l’intima certezza che la parte del mondo ancora suscettibile di riscatto è solo quella dei fanciulli, degli eroi e dei martiri”.
Bernanos sa che si può essere giovani ad un’età avanzata e vecchi a vent’anni. Sulla scia di Santa Teresa di Lisieux, invita i cristiani a ritrovare lo spirito dell’infanzia, perché è uno spirito che non accetta l’ingiustizia e perché il senso dell’onore ne è parte viva.
 “Il mondo sarà giudicato dai fanciulli. Sarà lo spirito dell’infanzia a giudicare il mondo”.
Bernanos crede che il ragazzo ch’egli fu sia definitivamente morto e quindi teme di non saper più parlare il linguaggio innocente e fiero dell’infanzia, “eppure, talvolta m’accade di ritrovare qualche accento... ed è quel che vi fa stare in ascolto, compagni dispersi per il mondo, che a caso o per noia avete aperto un giorno i miei libri”.
Ci sono nel libro passi di bella prosa distesa.

“Voglio solo rimanere sino alla fine fedele al ragazzo che fui. Sì, l’onore e quel po’ di coraggio che possiedo mi vengono da quell’essere oggi per me misterioso che trottava sotto la pioggia di settembre attraverso i pascoli intrisi d’acqua, col cuore gonfio del prossimo ritorno a scuola, dei cortili funebri dove presto lo avrebbe visitato il nero inverno, delle aule maleodoranti, dei refettori irrespirabili, delle interminabili messe cantate, dove un’animuccia sfinita non avrebbe potuto dividere con Dio nient’altro che la noia; sì, mi vengono dal fanciullo che fui e che ora è per me come un nonno”.

Il segno dominante del libro è l’invettiva e il sarcasmo, e la bella prosa appare come pausa o intermezzo descrittivo, o vagheggiamento nostalgico dell’antica storia di Francia, quando la voce di Bernanos diventa commossa e solenne.
I bersagli di Bernanos sono tanti, quasi tutto il mondo moderno d’Europa e d’America.
I farisei d’America decimarono scientificamente una razza mille volte più preziosa della loro disgustosa accozzaglia.
In Europa le classi medie sono quelle che più di tutte le altre forniscono l’esemplare tipo dell’imbecille. Gli imbecilli attendono la riconciliazione universale dallo sviluppo delle istituzioni democratiche e dall’insegnamento dell’esperanto.
I partiti politici sono grossolane creazioni dello spirito partigiano che assomigliano a un’autentica opinione come certe vesciche acquatiche a un animale – una ventosa per succhiare, un’altra per evacuare: la bocca e l’ano, che in taluni polipi sono addirittura una cosa sola.
 Accanto al proletariato operaio, è nato un proletariato borghese, composto soprattutto di straccioni improvvisatisi bottegai, che odiano gli operai veri e li considerano pericolosi.
Francisco Franco è un generale episcopale circondato da generali marpioni che sguazzano coi loro stivaloni dentro uno dei più schifosi carnai della storia.
I pretonzoli democratici, invidiosi parvenus dell’intelligenza, sono orribili, ma i gesuiti non sono migliori; essi che educano i giovani alla castità, all’obbedienza e alla mediocrità, perché considerano la giovinezza una crisi da superare, come la scarlattina o il morbillo, mentre, ahimè, è la febbre della giovinezza che mantiene il resto del mondo a temperatura normale. Quando la giovinezza si raffredda, il resto del mondo batte i denti.
Essere un cristiano medio, che è lo scopo dell’educazione ufficiale della Chiesa,  non equivale nemmeno a essere semplicemente un onest’uomo. Il cristiano medio, rispetto ai comuni mortali, ha una dose supplementare di orgoglio e di ipocrisia, senza parlare della deplorevole attitudine a risolvere a proprio favore i casi di coscienza.
Pertanto non c’è da meravigliarsi che il massacro nell’isola di Maiorca di centinaia di cittadini indifesi non provocasse una parola di biasimo, neppure le più blande rimostranze da parte delle autorità ecclesiastiche, che invece organizzarono processioni di ringraziamento.
Bernanos trova tutti responsabili, sia le ‘truppe’ di destra che i dirigenti di sinistra: i funzionari civili o militari iscritti alle leghe patriottiche,  che per tutta la vita hanno tremato davanti al capufficio o al colonnello, e ora ostentano all’occhiello, come ricompensa per quarant’anni di coliche, la Legion d’onore; e gli intellettuali democratici:  ciarlatani che ostentano di andare verso il Popolo senza amarlo.
Bernanos ha forse una idea mistica del popolo, ‘meravigliosa creazione della natura e della storia francese’. Egli pensa che anche in pieno XVIII secolo, quando il clero, la nobiltà, la magistratura e gli intellettuali presentavano tutti i sintomi del disfacimento, l’uomo del popolo restava ben poco diverso dal suo antenato medioevale. Un pugno di borghesi o di piccoli borghesi, di uomini d’affari o di intellettuali, cicalando e gesticolando sul proscenio, pretesero di impersonare la Francia, mentre il nostro vecchio popolo, così fiero, così saggio, così sensibile, diventava a poco a poco quella massa anonima che si chiama proletariato. E’ sconvolgente pensare che la ‘modernità’ sia riuscita a fare del più stabile aggregato umano una folla ingovernabile, tenuta sotto la minaccia delle mitragliatrici.
Bernanos rispetta i poveri, rispetta gli operai.
Contro gli ipocriti che onorano la povertà senza praticarla, è sferzante:
“Conosco un mezzo per accomodare tutto: organizzare il culto del Povero Ignoto. Lo seppellite in Piazza della Borsa e così ogni re dell’acciaio, dell’olio o del petrolio che venga a Parigi si sentirà in dovere di deporre una corona sulla sacra pietra”.
Bernanos ha dei sentimenti che fanno pensare a Pierpaolo Pasolini:
“Ahimè, l’ultimo privilegio del povero era di non saper leggere. Gliel’hanno tolto con tutti gli altri; oggi non è più analfabeta, ma  è rimasto ignorante”.
I cittadini poveri e sfruttati hanno il diritto di ribellarsi. Il moto di solidarietà degli operai francesi verso i loro sventurati compagni spagnoli è ispirato da un nobile sentimento.
Attraverso la tragedia spagnola, prefigurazione della tragedia universale, emerge in piena evidenza la misera condizione dell’uomo di buona volontà nella società moderna, da cui viene gradatamente eliminato, come un sottoprodotto inutilizzabile. L’uomo di buona volontà non ha più un partito, e chissà se domani avrà ancora una patria. Perché è il popolo che dà a ogni patria il suo carattere originale. E oggi, scrive Bernanos, non è possibile nemmeno concepire una vita nazionale, dal momento che il popolo ha perduto il suo carattere, la sua originalità razziale e culturale, ed è diventato un immenso serbatoio di intrighi meschini, cui si aggiunge un minuscolo semenzaio di futuri borghesi.
Il libro termina con un discorso drammatico e orgoglioso rivolto a Hitler.
“La Guerra abietta, la Guerra empia, attraverso la quale pretendete di dominare il mondo, non è già più una guerra da guerrieri. Essa avvilirà tanto profondamente le coscienze che, invece di essere la scuola dell’eroismo, sarà quella della viltà”.
La Germania di Hitler troverà ad affrontarla una nuova cavalleria, che sarà ispirata dall’esempio dei grandi personaggi della storia di Francia, da Giovanna d’Arco, “il meraviglioso fiore – che sembra essere stato seminato dagli angeli – quel genio dell’onore che la nostra razza ha talmente sublimato da rischiare di farne quasi la quarta virtù teologale”, e da tanti altri eroi anonimi e sconosciuti.
“Oh, nostri padri! Oh, nostri morti! Oh, amati cadaveri, dalla Senna alle rive del Nilo, all’Eufrate, all’Indo, su tutte le strade del mondo, cuori semplici, mani in croce, polvere, nomi che solo Dio conosce, padri nostri, padri nostri!”.



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