Non è di facile
lettura, questo libro, scritto con l’irruente immediatezza e lo spirito intenso ma divagante
di un discorso interiore o di un diario.
Il libro è noto
per la sua denuncia delle stragi compiute dai fascisti spagnoli nell’isola di
Maiorca dal luglio del 1936 al marzo del 1937. Quei massacri, di cui l’autore,
che abitava nell’isola, fu quasi testimone oculare, benché raccontati nel libro
molto brevemente, furono la scintilla che dette avvìo al lungo e complesso
discorso di Bernanos, che è una meditazione frammentaria ma ricca e profonda sull’uomo,
la società e la politica, sull’importanza del denaro e sulle classi sociali,
sulla guerra, sulla Chiesa, sul nazismo e sulla storia di Francia.
Tutte le opinioni
di Bernanos, a volte espresse in forma poetica, sono illuminanti; spesso, come tutte le
opinioni che non nascono da intellettualismo ma dal profondo della coscienza e
da un sofferto sentimento della realtà, sono profetiche e valide ancora oggi.
Già dalle prime
pagine l’autore sembra scettico sulla possibilità che il suo libro trovi
ascolto, e sembra accingersi a scrivere soprattutto per una necessità interiore,
per adempiere a un dovere morale.
“Singolare idea, questa, di scrivere per coloro che
disprezzano la scrittura, amara ironia voler persuadere e convincere, quando
sempre più si fa strada l’intima certezza che la parte del mondo ancora
suscettibile di riscatto è solo quella dei fanciulli, degli eroi e dei
martiri”.
Bernanos sa che si
può essere giovani ad un’età avanzata e vecchi a vent’anni. Sulla scia di Santa
Teresa di Lisieux, invita i cristiani a ritrovare lo spirito dell’infanzia,
perché è uno spirito che non accetta l’ingiustizia e perché il senso dell’onore
ne è parte viva.
“Il mondo sarà
giudicato dai fanciulli. Sarà lo spirito dell’infanzia a giudicare il mondo”.
Bernanos crede che
il ragazzo ch’egli fu sia definitivamente morto e quindi teme di non saper più
parlare il linguaggio innocente e fiero dell’infanzia, “eppure, talvolta m’accade di ritrovare qualche accento... ed è quel
che vi fa stare in ascolto, compagni dispersi per il mondo, che a caso o per
noia avete aperto un giorno i miei libri”.
Ci sono nel libro
passi di bella prosa distesa.
“Voglio solo rimanere sino alla fine fedele al ragazzo
che fui. Sì, l’onore e quel po’ di coraggio che possiedo mi vengono da
quell’essere oggi per me misterioso che trottava sotto la pioggia di settembre
attraverso i pascoli intrisi d’acqua, col cuore gonfio del prossimo ritorno a
scuola, dei cortili funebri dove presto lo avrebbe visitato il nero inverno,
delle aule maleodoranti, dei refettori irrespirabili, delle interminabili messe
cantate, dove un’animuccia sfinita non avrebbe potuto dividere con Dio
nient’altro che la noia; sì, mi vengono dal fanciullo che fui e che ora è per
me come un nonno”.
Il segno dominante
del libro è l’invettiva e il sarcasmo, e la bella prosa appare come pausa o
intermezzo descrittivo, o vagheggiamento nostalgico dell’antica storia di
Francia, quando la voce di Bernanos diventa commossa e solenne.
I bersagli di
Bernanos sono tanti, quasi tutto il mondo moderno d’Europa e d’America.
I farisei
d’America decimarono scientificamente una razza mille volte più preziosa della
loro disgustosa accozzaglia.
In Europa le
classi medie sono quelle che più di tutte le altre forniscono l’esemplare tipo
dell’imbecille. Gli imbecilli attendono la riconciliazione universale dallo
sviluppo delle istituzioni democratiche e dall’insegnamento dell’esperanto.
I partiti politici
sono grossolane creazioni dello spirito partigiano che assomigliano a
un’autentica opinione come certe vesciche acquatiche a un animale – una ventosa
per succhiare, un’altra per evacuare: la bocca e l’ano, che in taluni polipi
sono addirittura una cosa sola.
Accanto al proletariato operaio, è nato un proletariato
borghese, composto soprattutto di straccioni improvvisatisi bottegai, che
odiano gli operai veri e li considerano pericolosi.
Francisco Franco è
un generale episcopale circondato da generali marpioni che sguazzano coi loro
stivaloni dentro uno dei più schifosi carnai della storia.
I pretonzoli
democratici, invidiosi parvenus dell’intelligenza, sono orribili, ma i gesuiti
non sono migliori; essi che educano i giovani alla castità, all’obbedienza e
alla mediocrità, perché considerano la giovinezza una crisi da superare, come
la scarlattina o il morbillo, mentre, ahimè, è la febbre della giovinezza che
mantiene il resto del mondo a temperatura normale. Quando la giovinezza si
raffredda, il resto del mondo batte i denti.
Essere un cristiano
medio, che è lo scopo dell’educazione ufficiale della Chiesa, non equivale nemmeno a essere semplicemente un
onest’uomo. Il cristiano medio, rispetto ai comuni mortali, ha una dose
supplementare di orgoglio e di ipocrisia, senza parlare della deplorevole
attitudine a risolvere a proprio favore i casi di coscienza.
Pertanto non c’è
da meravigliarsi che il massacro nell’isola di Maiorca di centinaia di
cittadini indifesi non provocasse una parola di biasimo, neppure le più blande
rimostranze da parte delle autorità ecclesiastiche, che invece organizzarono
processioni di ringraziamento.
Bernanos trova
tutti responsabili, sia le ‘truppe’ di destra che i dirigenti di sinistra: i
funzionari civili o militari iscritti alle leghe patriottiche, che per tutta la vita hanno tremato davanti al
capufficio o al colonnello, e ora ostentano all’occhiello, come ricompensa per
quarant’anni di coliche, la Legion d’onore; e gli intellettuali democratici: ciarlatani che ostentano di andare verso il
Popolo senza amarlo.
Bernanos ha forse
una idea mistica del popolo, ‘meravigliosa creazione della natura e della
storia francese’. Egli pensa che anche in pieno XVIII secolo, quando il clero,
la nobiltà, la magistratura e gli intellettuali presentavano tutti i sintomi
del disfacimento, l’uomo del popolo restava ben poco diverso dal suo antenato
medioevale. Un pugno di borghesi o di piccoli borghesi, di uomini d’affari o di
intellettuali, cicalando e gesticolando sul proscenio, pretesero di impersonare
la Francia, mentre il nostro vecchio popolo, così fiero, così saggio, così sensibile,
diventava a poco a poco quella massa anonima che si chiama proletariato. E’
sconvolgente pensare che la ‘modernità’ sia riuscita a fare del più stabile
aggregato umano una folla ingovernabile, tenuta sotto la minaccia delle
mitragliatrici.
Bernanos rispetta
i poveri, rispetta gli operai.
Contro gli
ipocriti che onorano la povertà senza praticarla, è sferzante:
“Conosco un mezzo per accomodare tutto: organizzare il
culto del Povero Ignoto. Lo seppellite in Piazza della Borsa e così ogni re
dell’acciaio, dell’olio o del petrolio che venga a Parigi si sentirà in dovere
di deporre una corona sulla sacra pietra”.
Bernanos ha dei
sentimenti che fanno pensare a Pierpaolo Pasolini:
“Ahimè, l’ultimo privilegio del povero era di non
saper leggere. Gliel’hanno tolto con tutti gli altri; oggi non è più
analfabeta, ma è rimasto ignorante”.
I cittadini poveri
e sfruttati hanno il diritto di ribellarsi. Il moto di solidarietà degli operai
francesi verso i loro sventurati compagni spagnoli è ispirato da un nobile sentimento.
Attraverso la
tragedia spagnola, prefigurazione della tragedia universale, emerge in piena
evidenza la misera condizione dell’uomo di buona volontà nella società moderna,
da cui viene gradatamente eliminato, come un sottoprodotto inutilizzabile. L’uomo
di buona volontà non ha più un partito, e chissà se domani avrà ancora una
patria. Perché è il popolo che dà a ogni patria il suo carattere originale. E
oggi, scrive Bernanos, non è possibile nemmeno concepire una vita nazionale,
dal momento che il popolo ha perduto il suo carattere, la sua originalità
razziale e culturale, ed è diventato un immenso serbatoio di intrighi meschini,
cui si aggiunge un minuscolo semenzaio di futuri borghesi.
Il libro termina
con un discorso drammatico e orgoglioso rivolto a Hitler.
“La Guerra abietta, la Guerra empia, attraverso la
quale pretendete di dominare il mondo, non è già più una guerra da guerrieri.
Essa avvilirà tanto profondamente le coscienze che, invece di essere la scuola
dell’eroismo, sarà quella della viltà”.
La Germania di
Hitler troverà ad affrontarla una nuova cavalleria, che sarà ispirata dall’esempio
dei grandi personaggi della storia di Francia, da Giovanna d’Arco, “il meraviglioso fiore – che sembra essere
stato seminato dagli angeli – quel genio dell’onore che la nostra razza ha
talmente sublimato da rischiare di farne quasi la quarta virtù teologale”,
e da tanti altri eroi anonimi e sconosciuti.
“Oh, nostri padri! Oh, nostri morti! Oh, amati cadaveri,
dalla Senna alle rive del Nilo, all’Eufrate, all’Indo, su tutte le strade del mondo,
cuori semplici, mani in croce, polvere, nomi che solo Dio conosce, padri nostri,
padri nostri!”.
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