Questa
operetta di poche decine di pagine si legge tutta d’un fiato, perché è scritta
con chiarezza, semplicità e con una certa brillantezza.
Dopo
aver difeso i vecchi dai rimproveri che di solito vengono loro rivolti, Cicerone scrive:
“Dell’avarizia, poi, in un
vecchio non vedo la ragione: può infatti esservi cosa più assurda che andar
cercando, quanto meno di via rimane, tanto più di viatico?”.
Qui il
ragionamento forte e semplice si conclude con una piacevole arguzia.
E poco
prima aveva detto, sempre a proposito dei vecchi, che non sono sempre bisbetici
e irascibili:
“La cosa sta così: come non ogni
vino, così non ogni indole inacidisce con gli anni”.
Già da
queste frasi, si capisce che Cicerone non parla della vecchiaia reale che siamo abituati ad osservare nella vita concreta (fra i parenti, i vicini di casa, i colleghi
di lavoro, per strada, ecc.), ma descrive la vecchiaia di una cerchia ristretta di persone, o forse, idealizzando un poco anche quelle, immagina soltanto una vecchiaia possibile.
Infatti egli parla solo a uomini dal cuore generoso e dall’intelletto forte, e tali sono i personaggi che cita come esempi.
Per
la quasi totalità dei suoi lettori, estranei a quella élite, questo libretto potrebbe perciò avere per titolo semplicemente Consigli oppure Esortazioni per la vecchiaia.
Già all’inizio del suo discorso, Catone il Censore (che è il personaggio dietro
il quale Cicerone si nasconde), dice ai due giovani amici che lo interrogano:
“A quelli che non hanno in se
stessi nessun aiuto per vivere bene e felici, a loro tutte le età sono grevi; a
quelli invece che chiedono solo a sé ogni bene, a loro non può sembrar male
nulla di ciò che necessità di natura ci impone… Perciò, se solete ammirare la
mia saggezza, in questo sono saggio, che io seguo la natura, guida ottima, come
un dio, e a lei ubbidisco; non è verosimile che essa, mentre le altre parti
della vita le ha concepite bene, l’ultimo atto l’abbia trascurato, come un
poeta senz’arte”.
La vita eroica
(in senso morale e intellettuale) dell’uomo anziano che Cicerone descrive
oscilla fra una forte solitudine piena di meditazione (“com’è importante che l’animo stia con se stesso e con se stesso viva!”)
e una autorevole presenza in mezzo alla gente e soprattutto fra i giovani ("Che cosa infatti è più bello di una
vecchiezza circondata da una gioventù desiderosa di imparare?”).
Oltre che nello studio, l'uomo
anziano può anche trovare ispirazione e conforto nel coltivare la terra. La
descrizione che Cicerone fa dei piaceri dell’agricoltura, che “si
avvicinano massimamente alla vita del sapiente”, è certo la pagina più
poetica della sua operetta.
“Mi diletta non il frutto
soltanto, ma il vigore e la natura della terra stessa… Posso ricordarvi la
semina, la nascita, la crescita delle viti? Non mi posso saziare del piacere
che ne provo…”.
Dopo
aver respinto vari motivi che, secondo il sentimento comune, angosciano la vecchiaia, Cicerone si dedica all’ultimo, il più grave:
l’avvicinarsi della morte.
Anche
qui, per rappresentare la naturalezza della morte nell’età avanzata, trova belle immagini poetiche:
“e come i frutti se sono acerbi a
stento si strappano dagli alberi, ma se sono perfettamente maturi cadono da sé,
così ai giovani toglie la vita la violenza, ai vecchi la maturità”.
Ma
questa, per la verità, mi sembra la parte meno convincente dell’operetta,
perché nient'altro che un facile sofisma è la convinzione che “della morte non ci si debba preoccupare.
Essa o è trascurabile del tutto, se spegne interamente l’anima, o addirittura
desiderabile, se la conduce in qualche luogo, dove sia destinata a essere
eterna”.
L’autore
non considera che il fatto in sé di dover morire dà in generale meno angoscia del modo imprevedibilmente crudele in cui può presentarsi
la morte, del dolore, della lunghezza e della degradazione di una malattia, ecc.
Tuttavia,
se si pensa a come morì Cicerone, porgendo il collo senza tremare ai suoi
carnefici, i sicari inviati da Marco Antonio, la conclusione energica e rasserenante del suo discorso non sembra
retorica.
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