lunedì 29 agosto 2016

Battaglie e trasmigrazioni di popoli. Citazioni da Ammiano Marcellino (ca. 332 - dopo 391), Le Storie. A cura di Antonio Selem. UTET, 2013. 2^ Parte.


Dell’ingresso dei Goti nell’Impero Romano e dell’atteggiamento delle autorità Romane verso di loro, Ammiano Marcellino ci lascia una descrizione che ha parecchie somiglianze con l’odierno continuo arrivo in Europa,  da alcuni decenni, di milioni di “dannati della terra” da tutti i paesi poveri del mondo e soprattutto dall’Africa e dal Medio-Oriente.
Ammiano intitola così il capitolo 4^ del libro XXXI:
“La maggior parte dei Goti, chiamati Teruingi, cacciata dai propri territori, con il consenso dell’imperatore Valente è trasferita in Tracia dai Romani, dopo aver promesso obbedienza e aiuti”.
E continua:
“Una moltitudine di ignoti barbari, cacciata improvvisamente dalle sue sedi, vagava con i propri cari in gruppi dispersi attorno al Danubio”.
Alla corte di Valente arrivano gli ambasciatori dei barbari, i quali pregano e supplicano che il loro popolo, bandito dalle sue terre, sia accolto al  di là del fiume. Questa “situazione fu motivo più di gioia che di paura. Giacché gli adulatori abilmente esaltavano la fortuna del sovrano che, senza che egli se l’aspettasse, gli procurava dalle più lontane regioni tante reclute, di modo che, unendo le proprie forze a quelle straniere, avrebbe disposto di un esercito invincibile. In tal maniera [secondo gli adulatori summenzionati] invece dei contributi di soldati, che ogni anno le province inviavano, si sarebbe riversata nell’erario una grande quantità di denaro. Con questa speranza furono mandati diversi funzionari incaricati di trasportare su veicoli quell’orda selvaggia.
Le autorità s’impegnarono con somma cura perché nessuno di quelli che avrebbero distrutto lo stato Romano, anche se colpito da morbo letale, rimanesse indietro.
Quindi, ottenuto, per concessione dell’imperatore, il permesso di attraversare il Danubio e di abitare le zone della Tracia, venivano trasportati in schiere oltre il fiume giorno e notte su navi, zattere e tronchi d’albero scavati.
Poiché il Danubio è un fiume assai pericoloso e per di più allora era in piena per le abbondanti piogge, parecchi perirono annegati.
Così grazie allo zelo tempestoso e all’insistenza di alcune persone, penetrava la rovina nello stato Romano”.
I  funzionari di malaugurio’ (Ammiano Marcellino li chiama così) tentarono spesso di calcolarne il numero, ma dovettero rinunciarvi per l’impossibilità di “conoscere quanti granelli di sabbia sono sospinti da Zeffiro” (Ammiano cita Virgilio).

Ma le somiglianze fra il passato e il presente vanno oltre le  situazioni già descritte.
“In questo periodo di tempo, mentre le barriere dei nostri confini erano state aperte e dal paese dei barbari si riversavano schiere di armati come le faville dall’Etna, la gravità della situazione avrebbe richiesto alcuni comandanti militari assai famosi per le loro imprese; ma, come se una divinità avversa li avesse scelti, si trovarono assieme ed erano al comando degli eserciti [oggi possiamo dire: alla guida dei partiti] uomini macchiati dal disonore, fra i quali si distinguevano Lupicino e Massimo.
La loro insidiosa avidità fu causa di tutti i mali: infatti, per tralasciare alcuni delitti commessi dai summenzionati capi o comunque, con il loro permesso, da altri per motivi abietti contro quegli stranieri che stavano arrivando e che in quel momento non s’erano macchiati di nessuna colpa, si narrerà un fatto triste e inaudito. Poiché i barbari, che erano stati trasferiti, soffrivano per la scarsità di cibo, quei comandanti odiosissimi escogitarono un turpe commercio e, raccolti quanti cani la loro insaziabilità poté mettere assieme d’ogni parte, li diedero in cambio di altrettanti schiavi, fra i quali si annoveravano anche i figli dei capi”.
Le somiglianze fra passato e presente continuano anche nei dettagli.
Ad un certo momento, i Goti che erano stati accolti già da tempo in territorio Romano ricevono dall’imperatore l’ordine di lasciare immediatamente la Tracia e passare nell’Ellesponto.
Allora “chiesero senza arroganza il denaro per il viaggio, vettovaglie e una dilazione di due giorni. A questa richiesta arse di sdegno il magistrato della città (Adrianopoli), che era adirato con loro perché gli avevano devastato una villa suburbana, e, fatta uscire tutta l’infima plebe con gli operai degli arsenali, che si trovavano lì in gran numero, l’armò per fare strage dei barbari. Fece suonare le trombe di guerra e a tutti lanciava minacce gravissime se non se ne fossero andati subito secondo gli ordini.
I Goti, colpiti improvvisamente da questa inaspettata violenza e spaventati dall’attacco dei cittadini più concitato che meditato, rimasero immobili, ma infine, fatti oggetto di rimproveri ed insulti d’ogni genere e provocati con lanci di dardi, si ribellarono apertamente. Uccisero moltissimi fra quelli che erano stati attirati a sferrare un attacco troppo facile e arrogante…”.
Seguì entro breve tempo, 9 agosto del 378, la grande battaglia di Adrianopoli, nella quale i Romani furono sopraffatti dai Goti e l’imperatore Valente perdette la vita.
“Risulta che si salvò appena un terzo dell’esercito. Gli annali non ricordano una disfatta simile a questa, ad eccezione della battaglia di Canne”.

Nessun commento: