Parecchi anni fa sul settimanale l’Espresso
c’era una rubrica tenuta da Geminello Alvi, un intellettuale acuto e spiritoso,
che quando parlava dei personaggi pubblici di allora, li giudicava partendo dai
loro tratti fisiognomici, e arrivava in modo originale e perspicace a una
valutazione che era sempre convincente e fondata.
Quando ho letto l’articolo simpatico e
perfetto (nel senso di pienamente condivisibile) di Alessandro Robecchi, ho pensato
che la faccia e la persona di Renzi offrono un materiale ideale, cioè unico, ad
un appassionato di fisiognomica che voglia fare facili e brillanti esercitazioni.
“A cinquant’anni, ognuno ha la faccia che
si merita” scrisse George Orwell in un suo romanzo. Ma Renzi, precoce e
velocissimo anche in questo, non ha aspettato i cinquant’anni per farsi quella
sua faccia da posatore, che si è definitivamente fissata in ogni dettaglio con
almeno vent’anni di anticipo.
Alessandro Robecchi scrive che “Renzi, il renzismo,
la renzitudine e la renzità stanno sulle palle a una larga fetta della
popolazione, per vari motivi”.
Il primo sono le bugie, “ il ‘va tutto bene’,
le fregnacce dell’Italia che riparte, la vecchia barzelletta che se dici che
tutto procede per il meglio poi tutto procederà per il meglio”.
Renzi e i “gerarchi e gerarchetti del
renzismo” costituiscono, scrive Robecchi, “una classe politica di ‘nuovi e
giovani’ che nel vecchio Pci avrebbe a stento pulito i vetri
della sezione, e oggi invece va in giro ostentando il cappello con le
piume da statista”.
Ma l’osservazione più acuta di Robecchi è
che il renzismo è irriformabile. “La cifra del renzismo conosce una sola
modalità: quella della vittoria, della supremazia, della soddisfazione tronfia,
della certezza di essere nel giusto. Se il renzismo mediasse, se ascoltasse, se
guardasse la realtà, insomma, se facesse politica invece che propaganda, non
sarebbe più renzismo, perché l’arroganza non è un orpello, ma
un elemento strutturale, materia culturale e ideologica
fondante”.
Robecchi fa il confronto fra Muhammad Ali e
Matteo Renzi. Anch’io, guardando dei vecchi documentari ritrasmessi di recente
dopo la sua morte, avevo pensato che le chiacchiere torrentizie e la spavalderia
del grande pugile non erano irritanti, perché lui dimostrava di essere
all’altezza delle sue vanterie sportive, e perché in quelle spacconate c’era sempre un elemento di scherzo e di autoironia, e poi perché, quando
parlava di cose serie, della condizione dei negri o della guerra nel
Vietnam, le parole, anche esagerate, di Muhammad Ali erano dette con il cuore, con una convinzione sincera e una spontaneità che Renzi non conosce.
Renzi conosce solo l’enfasi, le frasi fatte
che s’imparano alla scuola elementare (del tipo: “Noi suoneremo le nostre campane”, “Il dado è tratto”, “La speranza è l'ultima a morire") e i triti modi di dire del calcio, della televisione e della pubblicità. Anche nelle occasioni ufficiali l'eloquenza di Renzi non sa elevarsi al di sopra di un gergo goliardico-sportivo-parrocchiale. Non possiede sentimenti autentici, a parte il sentimento di sé, che però non è consapevolezza ma vanagloria. Se a un politico manca la profondità dei sentimenti, mancano anche la competenza professionale e la cultura, e deve procedere solo con il pressappochismo di un furbo improvvisatore.
Renzi non è dunque in grado di correggersi. I suoi tratti dominanti sono l'enfasi e l'artificio. Pur di mettersi in vista, non rifugge nemmeno dalla imitazione più piatta. Lo
dimostrano la sua faccia molle, la sua voce superficiale e vuota di risonanze, che sembra prestata da un ventriloquo, la mimica scomposta, i movimenti esagerati e
il suo modo di camminare studiato e dondolante come quello del pistolero John Wayne,
spauracchio cinematografico di banditi immaginari.
Ex nihilo nihil fit. Da niente non può nascere niente.
Nessun commento:
Posta un commento