Arrivato al libro
27, capitolo 3, paragrafo 5 di questa lunga e avvincente opera, faccio un balzo
sulla sedia per il piacere di trovare delle espressioni così icastiche e moderne.
Siamo nel 364 d.
C. e lo scrittore, la cui attenzione è rivolta a quasi tutto il mondo romano, dalla Gallia fino alla
Persia e all’Armenia, dedica una paginetta alla situazione della città di Roma.
Prefetto dell’Urbe
è Simmaco “il quale dev’essere annoverato fra i maggiori esempi di dottrina e
di moderazione [...] A costui succedette nella prefettura della città Lampadio
che precedentemente era stato prefetto del pretorio; egli si sdegnava se non
era lodato anche quando sputava, come se anche questa azione compisse con
maggiore abilità degli altri".
"Sarà sufficiente" aggiunge Ammiano "menzionare questo solo
esempio della sua vanità, certamente di poca importanza, ma tale da dover essere
evitato dagli alti funzionari. In tutti i quartieri della città, che erano
stati abbelliti a spese di vari sovrani, faceva scrivere il suo nome, non come
restauratore di antichi monumenti, ma come loro costruttore”.
Sarà forse solo una vaga impressione, ma questo Lampadio ricorda qualcuno che gli italiani di oggi conoscono bene...
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