lunedì 23 maggio 2016

Federico Rampini, un intellettuale troppo cosmopolita.



Federico Rampini, giornalista di Repubblica e scrittore, ha partecipato domenica sera ad un programma televisivo sull’attualità politica. E’ un intellettuale che ama presentarsi in maniche di camicia con larghe e lussuose bretelle colorate, come i giornalisti (e i gangster) americani degli anni Trenta e Quaranta che si vedono al cinema. Porta una zazzera scarruffata e ormai grigia che sembra un diadema di genialità. 
Un giornalista conduttore della trasmissione gli chiede che cosa pensa della riforma del senato voluta dal governo Renzi e come voterà al referendum del prossimo ottobre.
 “Beh, io vivo negli Stati Uniti e vedo le cose da lontano. Di qui a ottobre dovrò studiare per conoscere meglio questa riforma.... Quando ero piccolo... vivevo nel Nord Europa... genitori italiani... sentivo sempre parlare di Amintore Fanfani... ve lo ricordate? e delle sue riforme... Tutti dicevano che erano riforme autoritarie... invece si sono fatte e non hanno avuto nessun effetto dannoso. Anche della riforma di oggi si dice che introdurrà un regime autoritario, ma è del tutto esagerato. Certo non è perfetta, si può migliorare, ma è un primo passo importante per cambiare...”.
Ormai i  progressisti di Repubblica parlano tutti alla stessa maniera, recitando meccanicamente una filastrocca generica che sembra imparata a memoria da un copione comune: ‘non so ancora se voterò... vivo a Parigi ... vivo negli Stati Uniti... non conosco bene questa riforma... dovrò studiarla con attenzione... ha certamente dei difetti... è senz’altro migliorabile... però è sicuramente un primo  passo avanti... ci serve per uscire dalla palude’.
Di Federico Rampini avevo un libro, ancora da leggere. Dopo aver ascoltato la sua melensa professione di fede, l’ho preso dallo scaffale e l’ho fatto a pezzi. Il tempo concesso a persone così geniali è tempo perduto: sanno raccontare con vivacità i fatti lontani, ma biascicano quando devono schierarsi sui problemi di casa.

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