martedì 10 maggio 2016

Sul potere assoluto travestito da democrazia. Citazioni da Edward Gibbon (1737-1794), Storia della decadenza e caduta dell'impero romano. Einaudi, 1967.



Di quest’opera vasta e profonda, che è il capolavoro della storiografia inglese del Settecento, riporto, dalle pagine 68, 71 e 119 del primo volume, alcune osservazioni che, mi sembra, aiutano a illuminare la scena politica italiana di oggi.
Il passaggio dalla ‘repubblica’ all’’impero’ non fu né netto né chiaro.
“Il sistema del governo imperiale, come fu istituito da Augusto e conservato dai suoi successori, lo si può definire una monarchia assoluta travestita da repubblica. I padroni del mondo romano avvolgevano il loro regno nell’oscurità e celavano la loro forza irresistibile, professandosi umilmente ministri responsabili del senato”.
Dopo che il senato era stato umiliato e disarmato, Augusto e i suoi successori, nell’esercizio dei loro poteri, consultavano frequentemente il supremo consiglio della nazione, attenendosi in apparenza alle sue decisioni. In realtà i supremi decreti del senato, erano essi stessi che li dettavano.
Augusto professava un devoto rispetto per la libera costituzione che aveva egli stesso distrutto.
“Una mente fredda, un cuore insensibile e un animo codardo gli fecero prendere all’età di diciannove anni la maschera dell’ipocrisia, che non depose più... Egli voleva ingannare il popolo con l’apparenza della libertà civile, e gli eserciti con l’apparenza di un governo civile”.
Augusto, perciò, mantenne con i loro nomi le antiche magistrature repubblicane, svuotandole però di potere.
Egli “sentiva che gli uomini si lasciavano governare dai nomi, né fu deluso nell’aspettativa che il senato e il popolo avrebbero sopportato la schiavitù, purché fossero rispettosamente assicurati che godevano ancora dell’antica libertà. Un senato debole e un popolo smidollato si cullarono lietamente in questa dolce illusione, finché la mantenne la virtù, o la prudenza, dei successori d’Augusto”.
Ben presto “il senato fu pieno di schiavi colti ed eloquenti, i quali giustificavano l’adulazione con teorie sulla schiavitù. Questi nuovi avvocati del dispotismo erano con piacere ascoltati dalla corte e con pazienza dal popolo, quando inculcavano i doveri dell’obbedienza passiva e discettavano sui mali inevitabili della libertà”.
Non mancano nemmeno oggi i servili avvocati del dispotismo (però né colti né eloquenti) al servizio di un piccolo imperatore, formato tascabile, convinto di riuscire a nascondere la realtà sotto l’alluvione delle sue parole. Non mancherebbe nemmeno un popolo smidollato,  contento di farsi ingannare. Ma qui spero con tutto il cuore di sbagliare.

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