sabato 5 settembre 2015

Constancia de la Mora, Gloriosa Spagna: autobiografia di una donna spagnuola. Roma, Edizioni Rinascita, 1951.



Il pensiero della guerra civile spagnola si è formato in me molto tardi, dopo i vent’anni. Quando ero ragazzo non ne avevo mai sentito parlare né in famiglia né a scuola. Mio padre era un comunista di maniera, cioè senza vera passione politica,  che veniva dalla retorica fascista e, come tanti,  aveva cambiato bandiera alla fine della guerra. La scuola, poi, perfino al liceo, era un luogo asettico dal quale la storia recente e i problemi vivi erano rigorosamente esclusi.
Ricordo che negli anni Cinquanta (forse nel 1956, ventesimo anniversario dell’inizio del conflitto) visitai per puro caso una mostra fotografica organizzata dalla Chiesa per far conoscere gli “orrori” commessi dai repubblicani spagnoli. Abitavo allora in un quartiere romano di periferia e, spinto dalla nostalgia, tornavo spesso in centro, in Piazza della Pilotta, dove ero vissuto quasi felicemente da bambino. Tutti i palazzi della piazza appartenevano al Vaticano, e in uno di questi, al piano terreno, era stata allestita, appunto, la mostra degli orrori commessi dai “rossi” spagnoli. La mostra sul momento mi colpì, certo, ma in me non fece nascere niente, nessuna curiosità, nessun sentimento preciso, e rimase per anni come un ricordo insignificante.
Passò ancora parecchio tempo prima che sentissi di nuovo parlare della Spagna, nell’aprile del 1963, quando il regime di Franco condannò a morte e fucilò l’oppositore comunista Julián Grimau. Ricordo che perfino il cardinal Giovanni Battista Montini, che dopo due mesi sarebbe diventato papa, chiese per lui la grazia al dittatore spagnolo.
Trasferitomi a Firenze l’anno seguente, scoprii che nell’ambiente studentesco il ricordo della guerra civile spagnola, a distanza di quasi trent’anni, era un patrimonio comune che veniva custodito con rispetto e ammirazione. Si cantavano le canzoni del Fronte popolare, si correva a vedere nei cineclub il documentario di Frédéric Rossif “Morire a Madrid”, tanti di noi tenevano nel soggiorno di casa una grande riproduzione del quadro di Picasso “Guernica”.
Quando, due mesi fa, su una bancarella di un mercatino per una festa di montagna, ho visto questo libro, anche se non conoscevo Constancia de la Mora, mi è sembrato di incontrare una persona cara, di ritrovare un amato ricordo  di famiglia e ho letto il libro con questo spirito.
Il libro è bello, scorrevole, appassionato, ma a pagina 513 c’è una grave falsità:
“... i trotskisti  che agivano in qualità di agenti di Franco per mezzo di un partito politico chiamato il POUM erano riusciti ad infiltrarsi in posti di grande responsabilità”.
Consultando Internet ho appreso che su Constancia de la Mora pesa il sospetto che sia stata una agente al servizio del governo sovietico che, si sa, in Spagna fece strage di anarchici e trockisti.
Lei e il secondo marito Ignacio Hidalgo de Cisneros, comandante dell’aviazione repubblicana, avevano fatto un viaggio in Unione Sovietica e, con mia grande sorpresa, avevano trovato che era tutto bellissimo e che la gente era felice e ben pasciuta (pagine 561 e 562).
 Rafael Alberti dedicò a Constancia de la Mora una bella poesia che canta la purezza del suo amore e del suo sacrificio per la Spagna.
Io, combattuto fra l’ammirazione e il sospetto, sperando che le sue opinioni sbagliate non siano mai diventate atti infami, riporto i versi del poeta, con il desiderio che essi dicano tutta la verità.
“Constancia de la Mora, compagna e amica: / tanti anni sono passati, ma tu sei ancora qui, / qui è la tua vita limpida, il difficile cammino / coraggioso, leale e puro che tu avevi scelto. /

Tanti anni sono passati, che però non sono passati. / Tu fai rivivere con te e nel tuo esempio la vera vita di Spagna, / quel popolo semplice e fiero di cui fosti compagna, / miliziana fino al giorno della tua inaspettata morte. /

Non fu soggezione a paure oscure / la pena del tuo cuore nelle ore amare. / Fu amore, speranza cieca, dedizione luminosa, / fino a cancellare le tracce della tua aristocratica nascita.”

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