sabato 26 settembre 2015

Caro Alfonso Berardinelli, chi va con lo zoppo impara a zoppicare.




Pubblico di nuovo parte di un piccolo articolo, apparso su questo blog il 10 dicembre 2014, intitolato “Intellettuali italiani: Luigi Russo, Alfonso Berardinelli, Umbero Barbaro”:

Sulla natura della società di oggi,  mi sono sentito congeniale anche a un altro critico, Alfonso Berardinelli, nato nel 1943, che mi sembrava severo, acuto e dotato di un grande sentimento della realtà.
Mi ha stupito, però, qualche anno fa, vedere che Berardinelli scriveva sul giornale di Giuliano Ferrara, Il Foglio. Confesso che, per una sorta di pigrizia, tendevo a considerare quella collaborazione solo come un peccato veniale, anche se io non ho riconosciuto mai a Ferrara alcuna dignità intellettuale e non ho mai comprato il suo giornale. Mi aveva un po’ rabbonito una considerazione dello stesso Berardinelli: che Ferrara gli aveva concesso uno spazio garantendogli la libertà di dire tutto quello che voleva.
Gli articoli di Berardinelli (che seguo su internet) sono in verità molto interessanti e polemici. Ma la sua polemica, giusta e sacrosanta, è rivolta soprattutto  al detestabile culturame della sinistra, al vuoto e imbecille conformismo di sinistra o variamente democratico. E questo non può che far piacere a Ferrara. Il limite della libertà di Berardinelli è, appunto, che, pur potendo parlare di tutto, non parla, però, di Giuliano Ferrara e della sua parte politica. 
Trovo nel libretto di Vittorio Alfieri ‘Della tirannide’ la convinzione per fare a Berardinelli questo rimprovero.
“Dico per tanto; che allorchè l’uomo nella tirannide, mediante il proprio ingegno, vi si trova capace di sentirne tutto il peso, ma per la mancanza di proprie ed altrui forze vi si trova ad un tempo incapace di scuoterlo; dee allora un tal uomo, per primo fondamentale precetto star sempre lontano dal tiranno, da’ suoi satelliti, dagli infami suoi onori, dalle inique sue cariche, dai vizj, lusinghe, e corruzioni sue, dalle mura terreno ed aria perfino, che egli respira, e che lo circondano”.

Le considerazioni che facevo su Berardinelli hanno ora bisogno di un aggiornamento, che si può riassumere nel proverbio: Chi va con lo zoppo impara a zoppicare.
Il tono dei suoi interventi è passato da un carattere generale a uno generico, fino a diventare una estenuata e sfuggente perorazione ecumenica; da un moralista come lui io mi aspetterei, invece, analisi e giudizi su circostanze e persone precise.
In un articolo del 20 settembre scorso intitolato “L’essenza irriformabilmente romana della nostra sorda decadenza”, Berardinelli commenta un libro di Romano Benini (Destini e declini. L’Europa di oggi come l’impero romano?) e,  scrivendo cose genericamente giuste, assume una posizione che io considero rinunciataria e deludente.
“L’Italia deve riformare Roma e lo stato, deve costringere Roma a muoversi per non entrare nella schiacciante progressione che può trasformare la crisi in declino e il declino in decadenza. Comunque li si giudichi, Bergoglio e Renzi rappresentano un principio dinamico. Bergoglio perché è un attivo gesuita che viene da lontano e ha una visione aperta, larga, militante del cristianesimo nel mondo di oggi, di fronte a cui Roma è quasi niente. Renzi perché è un giovane animale pieno di energia, uno scaltro fiorentino del contado, un ex scout”.
Lasciamo da parte Papa Bergoglio, il cui attivismo è ancora sub judice; lasciamo da parte anche l’apprezzamento del dinamismo renziano (bisogna ricordare, però, che anche il fascismo era dinamico, perché era “una trottola che se si ferma cade”), ma dire di Renzi che è un ‘giovane animale pieno di energia’, mescolando queste parole alle parole serie dette sul papa, sembra del tutto fuori registro. Infatti quella frase  è volutamente banale, e sembra avere, in questo contesto, un vago sapore di disprezzo.  Anche l’altra qualità attribuita a Renzi da Berardinelli (‘scaltro fiorentino del contado’) è intenzionalmente un luogo comune, una reminiscenza letteraria usata ironicamente. (Berardinelli sa bene che oggi i contadi non sono più vivai di qualità e di talenti alla Bertoldo o alla Masetto di Lamporecchio, ma solo anonimi borghi residenziali uguali ai quartieri signorili di una città).
Berardinelli, insomma,  mostra di apprezzare Renzi con due frasi convenzionali che hanno invece, ma solo in modo piuttosto coperto, un sapore sarcastico.
Ma è proprio qui che egli mostra di aver bene imparato a zoppicare: Renzi, per il potere che ha raggiunto e per il modo con cui lo ha raggiunto e lo esercita, merita dei giudizi più meditati e diretti. Cavarsela con delle battute generiche e oblique è per me un atteggiamento elusivo, che è peggio di una rinuncia.

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