Leggere Dickens è come salire, in
un vasto luna-park, su un trenino che esplori i mondi, riuniti sotto un grande
tendone, della Casa delle streghe e della Casa delle fate. Il risultato di
questa mescolanza non è il mondo reale, però gli assomiglia, benché le sue
caratteristiche siano molto esagerate. Quelle buone sono sublimate, quelle
cattive sono inasprite. In “Nicola Nickleby” i rappresentanti più qualificati
del mondo delle streghe sono Ralph Nickleby, zio del protagonista, usuraio e
losco uomo d’affari, e il brutto e guercio professor Squeers, direttore di un
collegio dove i ragazzi sono maltrattati come in un campo di concentramento. I
rappresentanti del mondo delle fate sono, invece, i fratelli gemelli Charles e
Ted Cheeryble, buoni, inconsistenti e noiosi come angeli custodi.
Di questo romanzone, che nella
edizione della B.U.R. conta 940 pagine, mi sono piaciute poche cose, però sono
ammirato di una narrazione che si sviluppa con l’impeto di una valanga e raccoglie
e ingloba tutto quello che incontra o che sfiora, anche le pietruzze e i
fuscelli. A pagina 776, per esempio, Dickens per concludere
un filone men che secondario della storia principale (gli infiniti incontri ed episodi
di questo romanzo picaresco non sono mai lasciati in sospeso, ma alla fine vengono
tutti portati a una conclusione), accompagna la piccola Morleena Kenwigs, un
personaggio del tutto marginale, dal parrucchiere, dove avverrà un ‘miracoloso’
incontro con il prozio, signor Lillyvick, altro personaggio marginale.
Prima che avvenga questo importante riconoscimento, però, Dickens ci dice tutto
su quel negozio di parrucchiere, che descrive per una pagina e mezza. Dickens è
così: non tralascia niente. A pagina 542, di un personaggio
che nel romanzo appare brevemente solo due volte senza mai aprir bocca, la
sorella di Tim Linkinwater, Dickens ci racconta per una intera pagina tutti i
problemi che aveva avuto nel ritrovamento di una cuffia. La passione
descrittiva di Dickens è genuina, non è l’espediente meccanico che uno scrittore di romanzi d’appendice usa per
intrattenere il pubblico. O almeno non è solo questo. Nelle sue descrizioni particolareggiatissime
c’è il gusto divertito e appassionato di cogliere nella loro verità i singoli gesti e momenti
della vita quotidiana, però l’esito artistico (umoristico o di riflessione
morale) è raggiunto raramente. Alla signora Nickleby, per esempio, madre di Nicholas, donna simpaticamente
svampita che parla a ruota libera e spesso a vànvera, Dickens dà troppo spazio,
e i suoi infiniti e lunghi sproloqui spesso annoiano.
Non c’è bisogno che io parli dei
difetti cronici di Dickens, il sentimentalismo e il provvidenzialismo, che sono
atteggiamenti conosciuti e studiati. Per risolvere tutte le situazioni
drammatiche che non abbiano la possibilità di uno sviluppo felice naturale e spontaneo,
Dickens inventa con disinvoltura incontri provvidenziali con personaggi che
portano soluzioni miracolose.
Mi è sembrata eccezionalmente
acuta, degna di un grande moralista, la descrizione che Dickens, appena
ventiseienne, fa del primo incontro fra Nicholas e suo zio Ralph: “Il volto del vecchio era severo, duro e
repulsivo; quello del giovane aperto, bello e ingenuo. L’occhio del vecchio era
lampeggiante del bagliore dell’avarizia e dell’astuzia; quello del giovane
sfavillante della luce dell’intelligenza e dello spirito. […] c’era nel suo
sguardo e nel suo portamento qualcosa che emanava da quel giovane cuore ardente
e che umiliava il vecchio. […] Ralph ne fu ferito fino alle radici più profonde
del cuore e da quel momento odiò Nicola”.
Uno dei punti più alti del
romanzo, dove Dickens manifesta la grande arte che svilupperà in opere più
compiute (per esempio, “Il nostro comune amico”), è il colloquio fra
l’onorevole Gregsbury e Nicholas, che gli si offre come segretario. Gregsbury è
un mediocre politico che difende i suoi privilegi e con un lungo e spudorato
discorso (“… Lei deve sempre tenere bene
in mente di esprimersi con molto calore a proposito del popolo, perché rende
molto all’epoca delle elezioni… ”) istruisce Nicholas su come aiutarlo in
questo compito. Ma Nicholas rifiuterà l’incarico.
Altra vetta artistica è la
descrizione del servile snobismo del signor Wititterley e di sua moglie di
fronte a due aristocratici capitati in
casa loro solo per insidiare la dama di compagnia. “Eccellenza,” disse il signor Wititterley, “sono felice… onorato…
orgoglioso. Si rimetta a sedere, eccellenza, la prego. Sono davvero onorato,
onoratissimo”. Mentre Wititterley diceva tutto questo, la moglie provava in cuor
suo un gran fastidio poiché, pur scoppiando di orgoglio e di arroganza, avrebbe
voluto far credere agli illustri ospiti che la loro visita era proprio un fatto
comune e che essi ricevevano lord e baronetti ogni giorno della settimana”.
La ‘valanga narrativa’ di Dickens
non trascura nemmeno i minimi particolari poetici. Sir Mulberry Hawk uccide in
duello lord Frederick Verisopht. Il corpo del povero lord è disteso su un
prato. “Tutta la luce e l’animazione del giorno si intensificavano. E in mezzo
a tutto ciò, giaceva il morto, col volto irrigidito e fisso rivolto al cielo,
premendo l’erba di cui ogni filo alimentava molte piccole vite”.
Nessun commento:
Posta un commento