lunedì 8 settembre 2014

La noia della bontà: Carlo Dickens, Nicola Nickleby, Rizzoli (B.U.R.), 1962.



Leggere Dickens è come salire, in un vasto luna-park, su un trenino che esplori i mondi, riuniti sotto un grande tendone, della Casa delle streghe e della Casa delle fate. Il risultato di questa mescolanza non è il mondo reale, però gli assomiglia, benché le sue caratteristiche siano molto esagerate. Quelle buone sono sublimate, quelle cattive sono inasprite. In “Nicola Nickleby” i rappresentanti più qualificati del mondo delle streghe sono Ralph Nickleby, zio del protagonista, usuraio e losco uomo d’affari, e il brutto e guercio professor Squeers, direttore di un collegio dove i ragazzi sono maltrattati come in un campo di concentramento. I rappresentanti del mondo delle fate sono, invece, i fratelli gemelli Charles e Ted Cheeryble, buoni, inconsistenti e noiosi come angeli custodi.
Di questo romanzone, che nella edizione della B.U.R. conta 940 pagine, mi sono piaciute poche cose, però sono ammirato di una narrazione che si sviluppa con l’impeto di una valanga e raccoglie e ingloba tutto quello che incontra o che sfiora, anche le pietruzze e i fuscelli. A pagina 776, per esempio, Dickens per concludere un filone men che secondario della storia principale (gli infiniti incontri ed episodi di questo romanzo picaresco non sono mai lasciati in sospeso, ma alla fine vengono tutti portati a una conclusione), accompagna la piccola Morleena Kenwigs, un personaggio del tutto marginale, dal parrucchiere, dove avverrà un ‘miracoloso’ incontro con il prozio, signor Lillyvick, altro personaggio marginale. Prima che avvenga questo importante riconoscimento, però, Dickens ci dice tutto su quel negozio di parrucchiere, che descrive per una pagina e mezza. Dickens è così: non tralascia niente. A pagina 542, di un personaggio che nel romanzo appare brevemente solo due volte senza mai aprir bocca, la sorella di Tim Linkinwater, Dickens ci racconta per una intera pagina tutti i problemi che aveva avuto nel ritrovamento di una cuffia. La passione descrittiva di Dickens è genuina, non è l’espediente meccanico che  uno scrittore di romanzi d’appendice usa per intrattenere il pubblico. O almeno non è solo questo.  Nelle sue descrizioni particolareggiatissime c’è il gusto divertito e appassionato di cogliere nella loro verità i singoli gesti e momenti della vita quotidiana, però l’esito artistico (umoristico o di riflessione morale) è raggiunto raramente. Alla signora Nickleby, per esempio,  madre di Nicholas, donna simpaticamente svampita che parla a ruota libera e spesso a vànvera, Dickens dà troppo spazio, e i suoi infiniti e lunghi sproloqui spesso annoiano.
Non c’è bisogno che io parli dei difetti cronici di Dickens, il sentimentalismo e il provvidenzialismo, che sono atteggiamenti conosciuti e studiati. Per risolvere tutte le situazioni drammatiche che non abbiano la possibilità di uno sviluppo felice naturale e spontaneo, Dickens inventa con disinvoltura incontri provvidenziali con personaggi che portano soluzioni miracolose.
Mi è sembrata eccezionalmente acuta, degna di un grande moralista, la descrizione che Dickens, appena ventiseienne, fa del primo incontro fra Nicholas e suo zio Ralph: “Il volto del vecchio era severo, duro e repulsivo; quello del giovane aperto, bello e ingenuo. L’occhio del vecchio era lampeggiante del bagliore dell’avarizia e dell’astuzia; quello del giovane sfavillante della luce dell’intelligenza e dello spirito. […] c’era nel suo sguardo e nel suo portamento qualcosa che emanava da quel giovane cuore ardente e che umiliava il vecchio. […] Ralph ne fu ferito fino alle radici più profonde del cuore e da quel momento odiò Nicola”.
Uno dei punti più alti del romanzo, dove Dickens manifesta la grande arte che svilupperà in opere più compiute (per esempio, “Il nostro comune amico”), è il colloquio fra l’onorevole Gregsbury e Nicholas, che gli si offre come segretario. Gregsbury è un mediocre politico che difende i suoi privilegi e con un lungo e spudorato discorso (“… Lei deve sempre tenere bene in mente di esprimersi con molto calore a proposito del popolo, perché rende molto all’epoca delle elezioni… ”) istruisce Nicholas su come aiutarlo in questo compito. Ma Nicholas rifiuterà l’incarico.
Altra vetta artistica è la descrizione del servile snobismo del signor Wititterley e di sua moglie di fronte a due aristocratici  capitati in casa loro solo per insidiare la dama di compagnia. “Eccellenza,” disse il signor Wititterley, “sono felice… onorato… orgoglioso. Si rimetta a sedere, eccellenza, la prego. Sono davvero onorato, onoratissimo”. Mentre Wititterley diceva tutto questo, la moglie provava in cuor suo un gran fastidio poiché, pur scoppiando di orgoglio e di arroganza, avrebbe voluto far credere agli illustri ospiti che la loro visita era proprio un fatto comune e che essi ricevevano lord e baronetti ogni giorno della settimana”.
La ‘valanga narrativa’ di Dickens non trascura nemmeno i minimi particolari poetici. Sir Mulberry Hawk uccide in duello lord Frederick Verisopht. Il corpo del povero lord è disteso su un prato.  “Tutta la luce e l’animazione del giorno si intensificavano. E in mezzo a tutto ciò, giaceva il morto, col volto irrigidito e fisso rivolto al cielo, premendo l’erba di cui ogni filo alimentava molte piccole vite”.

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