La mia opinione è che Renzo
Piano sia, proprio lui! un creatore di periferie, un progettista di periferie
e che egli sappia solo pensare in modo “periferico”.
Non ci sarebbe bisogno, per convincersene, di leggere lo splendido libro di
Hans Sedlmayr, Perdita del centro, (tradotto
in italiano nel 1967); basta leggere i dilettanteschi concetti che lo stesso
Piano ha espresso in un articolo sul Corriere della Sera del 9 agosto 2000 (“Il pericolo è il mio mestiere”) per
rispondere ad alcune critiche fatte da Leonardo Benevolo, storico dell’architettura.
“Io credo che il mestiere dell' architetto sia un
mestiere inevitabilmente pericoloso. È un mestiere in cui basta respirare che
si corre un rischio. A meno di non trattenere il respiro: ma allora che vita è?
L' architettura è avventura, è esplorazione. In tutti i sensi. Sociale,
scientifico, storico, espressivo. L' architetto è esploratore, ed è anche
topografo, geografo, antropologo, storico, artista. E se l' architettura è
avventura allora è anche sbagliare il percorso, e far retromarcia. Il rischio
va affrontato. Se vuoi essere sicuro vai sulla strada maestra: è spesso
asfaltata ma anche di banalità e di accademia. Sono un imprudente? Sono
incauto? Sono uno scapestrato? Meglio scapestrato che paralitico. Che virtù è
la prudenza (quella che fa misurare con alchimistica precisione tutti i rischi)
in un mestiere che dovrebbe inventarsi il futuro?”.
Se queste idee le dichiarasse
un politico, già mi preoccuperebbero non poco, ma dette da un architetto che
costruisce torri alte 310 metri mi spaventano. Lo spirito d’avventura, i tentativi
e le esplorazioni di un architetto
devono dunque esercitarsi a spese della gente, la quale dovrebbe avere completa
fiducia solo sul grande estro del maestro? Ma lo spirito d’avventura e la brama
di novità, pur legittimi, di codesti artisti da quali contrappesi sono
bilanciati?
“Il vero futuro, ha scritto Friedrich Schelling, può
essere soltanto il risultato comune della potenza distruttrice e di quella
conservatrice. Appunto per questo non gli spiriti deboli, trascinati da
qualunque vangelo di una nuova epoca, ma gli spiriti forti, fedeli insieme al
passato, sono in grado di dare origine al vero futuro”.
Invece questi architetti
moderni sono “ nomadi del bello, [che]
sono usciti inosservati dal regno dell’umanesimo e stanno ora vagando chissà
dove” (Vjačeslav Ivanov, filosofo russo-italiano, morto a Roma nel 1949).
Se si legge ciò che disse
Renzo Piano al giornale La Stampa in una intervista del 5 luglio 2012, in
occasione dell’inaugurazione della sua Shard Tower londinese, si può constatare
che il suo spirito umanistico è davvero debole
e che egli, più che un nomade del bello, è un nomade degli strani e inutili primati.
Infatti non trova di meglio
da dire sulla sua costruzione che c’è anche "una
galleria panoramica che consente di inseguire l'orizzonte a 360 gradi per
sessanta chilometri. E anche una meditation room, all'ottantesimo piano. La
stanza più alta d'Europa".
Chissà come ci sarebbe stato
bene e quali capolavori avrebbe scritto, in quell’alto pensatoio, Tommaso
Campanella, che invece fu costretto a passare da prigioniero quattro anni, dal
1604 al 1608, in una fossa cieca e umida del Castel Sant’Elmo, a Napoli, e a
scrivere in così basso loco le sue sofferte poesie!
In un altro libro di Sedlmayr (La rivoluzione dell'arte moderna, 1955) c'è un passo che mi pare definisca bene l'attività di un architetto come Renzo Piano.
L'autore critica e afferma di volersi tenere lontano "dall'atmosfera di un mondo, che si era stretto in congiura per smentire le previsioni più fosche col suo ottimismo voluto, tanto sfacciato quanto impotente; con la sua tolleranza, più noncurante e scettica che in ogni altro tempo; con la sua tendenza ad assaggiare ogni cosa, a condizione che tutto, prima, avesse perduto ogni forza probante e ogni rigore di responsabilità; con la sua fregola dilettantesca di artificiosi esotismi, di meccanicismo inanimato", ecc. ecc.
In un altro libro di Sedlmayr (La rivoluzione dell'arte moderna, 1955) c'è un passo che mi pare definisca bene l'attività di un architetto come Renzo Piano.
L'autore critica e afferma di volersi tenere lontano "dall'atmosfera di un mondo, che si era stretto in congiura per smentire le previsioni più fosche col suo ottimismo voluto, tanto sfacciato quanto impotente; con la sua tolleranza, più noncurante e scettica che in ogni altro tempo; con la sua tendenza ad assaggiare ogni cosa, a condizione che tutto, prima, avesse perduto ogni forza probante e ogni rigore di responsabilità; con la sua fregola dilettantesca di artificiosi esotismi, di meccanicismo inanimato", ecc. ecc.
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