Egregio dottor S. G.,
sono l'anziano paziente che lei giovedì 6 marzo scorso ha passato dal
codice priorità C a quello B nella lista dei malati in attesa di intervento
chirurgico.
Nel corso della visita, lei ha respinto con grande sicurezza ogni mio
accenno di critica alla categoria dei medici e alla sanità in generale.
Uscito dallo stato di leggera confusione che ogni seria visita medica mi
provoca, ho continuato a rimuginare sulla
nostra breve discussione e mi sono
convinto che nessuna delle cose dette da lei regge alla prova di un esame attento.
Poiché lei mi è sembrato un giovane medico scupoloso, mi permetto di fare alcune considerazioni.
Lei non può sottovalutare le infinite denunce giornalistiche di
inefficienze del sistema sanitario, di casi
di corruzione (concorsi truccati, nomine partitiche di dirigenti
sanitari, ecc.) e di incompetenza di singoli
medici (se cerca in internet, troverà decine e decine di episodi raccontati dagli
stessi protagonisti).
Quando ho parlato della mia personale lunga esperienza negativa, lei ha
risposto che sono stato sfortunato. Ma
questa non può essere una risposta. Se i giornali non vanno presi sul serio, se
l’esperienza personale non conta niente, a
che cosa dovremmo dare valore?
Lei ha vantato la qualità del suo reparto, dei suoi colleghi e della
struttura in cui lavora. Potrei dire, svalutando a mia volta la sua esperienza,
che lei, a differenza di me, è casualmente fortunato.
Ma sarebbero quisquilie. Voglio invece
ripetere quello che ho sperimentato: che chiamare al telefono l’ufficio
accettazione della sua clinica è un’impresa più ardua che mettersi in
comunicazione col Padreterno; e che, cosa più grave, il fatto che, dopo già un
anno che sono in attesa, la lista degli operandi sia oggi ancora ferma al
giugno del 2012, ha un significato paradossale e crudele del tutto opposto alla concezione umanistica
che dovrebbe ispirare la medicina e l'intera convivenza sociale. Le responsabilità sono tante (politiche, amministrative, ecc.): chi lo nega? Ma se lei avesse consapevolezza di questo, non avrebbe mostrato la sicurezza soddisfatta
che io ho visto in lei. Se lei avesse semplicemente detto, con un po’ di
prudenza, che, nelle condizioni date,
lei fa del suo meglio, io le avrei creduto senz’altro.
Sull’assistenza sanitaria negli Stati Uniti, citati da lei, e in altri
paesi d’Europa, ho trovato in internet informazioni che fanno sfigurare il
nostro sistema sanitario.
Non sono il primo a sostenere che non è la mancanza di soldi la causa dei nostri
guai, ma piuttosto il fatto che i soldi, in ogni settore del sistema e ad ogni
livello di responsabilità, vengono spesi male. Per es., ai tempi in cui non
c’era ancora il ticket e i farmaci erano pagati per intero dallo Stato, il
pediatra che curava le mie figlie, avendo
sempre una grande fretta professionale, prescriveva ogni volta una montagna di
medicine, prevedendo ogni possibile decorso della malattia. Le medicine
scadevano tranquillamente e finivano al macero.
Concludo dicendo che i medici, in generale, hanno questo difetto: al di là della loro specializzazione (che si
spera sempre che sia reale e seria, ma che in ogni caso dà loro un ruolo di grande
rilievo nella società), hanno una cultura troppo limitata e parziale, cioè
hanno interessi troppo circoscritti e corporativi; su questa cultura monca si sviluppa uno spirito
di casta che incrina il loro sentimento di solidarietà e di responsabilità sociale.
Cordiali saluti.
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