lunedì 3 marzo 2014

Stacanovismo. Il filosofo Massimo Cacciari, definito 'politico della domenica', ci affligge anche il lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì e sabato.


L’anno scorso è uscito un piccolo e divertente pamphlet di Raffaele Liucci intitolato “Il politico della domenica: ascesa e caduta di Massimo Cacciari”.
Liucci scrive che Cacciari, benché il suo curriculum politico sia una lista ininterrotta di fiaschi, “gode a tutt’oggi di una vaga rispettabilità. Come se avesse ancora qualcosa da dire”.
Per la verità, a tener conto della quantità delle sue apparizioni pubbliche, sembra che Cacciari abbia da dire cose importanti e indispensabili.
“Non c’è convegno, trasmissione televisiva, dibattito giornalistico, incontro pubblico in cui, prima o poi, non faccia capolino la silhouette segaligna e barbuta del nostro filosofo.  L'Espresso dedica un'inchiesta alla crisi della democrazia? Ecco il democratico Cacciari che fa il punto sull'argomento. C'è un congresso sulle trasformazioni della famiglia? Ecco il sociologo Cacciari chiamato a tenervi una prolusione. V'è da celebrare il quarantennale del Sessantotto? Ecco il reduce Cacciari che non rinuncia a dire la sua (forse memore di quando si alzava all'alba, insieme a Toni Negri, per recarsi in fabbrica a spiegare agli operai le pagine del Capitale). C'è da rivitalizzare il Premio Campiello? Ecco il critico letterario Cacciari nominato presidente della giuria. C'è da confezionare un servizio televisivo sulla prima tappa del Giro d'Italia? Ecco il cicloamatore Cacciari che si fa strada fra i cameramen per un'intervista esclusiva. C’è da tenere a battesimo una collana del Mulino consacrata ai comandamenti biblici? Ecco il teologo Cacciari buttar giù un saggetto…”.
L’elenco di tutte le disparate occasioni d’intervento per questo “tuttologo sfibrante” occupa tre paginette del pamphlet, che sono le più divertenti: una specie di repertorio del fregolismo cultural-mondano.
Quando Cacciari appare in televisione, ospite di qualcuna delle tante trasmissioni politiche che lo invitano regolarmente, ha sempre l’aria saccente ed esausta di un profeta inascoltato e ogni volta è capace solo di fare osservazioni elementari espresse in una lingua di cento parole.
Se non fosse presentato con la qualifica di filosofo, nessuno potrebbe immaginare che quegli interventi politici terra-terra siano fatti da un uomo  a cui si attribuisce una grande cultura. Ma la contraddizione fra il politologo banale e il filosofo profondo (in realtà, indecifrabile) è solo apparente.  Trovo, anzi, che ci sia una perfetta coerenza. Il Cacciari vero è quello che pontifica di politica in televisione e che accetta e giustifica tutto quello che accade perché lo giudica inevitabile, limitandosi a esprimere una vaga speranza che gli avvenimenti, che lui dice di aver previsto da oltre trent'anni e che infine si realizzano  'inevitabilmente', portino, evolvendosi, a qualcosina di positivo.
Ma la speranza di Cacciari è priva di energia, è pura rassegnazione,  anzi è una resa incondizionata. La sua cultura non ha spirito critico e agonistico, e però lui è un uomo stizzoso, che, se un interlocutore lo contraddice,  perde la calma e si arrabbia, perché, con una lingua di sole cento parole e un così modesto repertorio di idee, non riesce ad argomentare.
La sua società ideale è appena un po' migliore (ma solo a parole) della società esistente, di cui egli accetta e spesso legittima (perché infine tutto è stato da lui previsto e tutto gli sembra inevitabile) anche le forme ridicole o scandalose che essa può aver assunto proprio oggi, anzi un'ora fa
Quando afferma che Silvio Berlusconi e Matteo Renzi si somigliano solo superficialmente, ma hanno personalità molto diverse, perché il primo è un imprenditore e l'altro un politico, Cacciari dimostra, con questo facile capovolgimento della realtà (la quale suggerisce piuttosto che  Berlusconi e Renzi sono superficialmente diversi, ma sostanzialmente uguali),  di avere un  acume che taglia come un foglio di carta assorbente e punge come un fiocco di ovatta.
E' proprio il suo modo di parlare minimalista e sgangherato la prova lampante di quanto i suoi scritti siano costruiti con artificio. 
Apro a caso Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer e, prima ancora del significato di quello che leggo, mi colpisce lo sforzo argomentativo dell’autore, la sua ricerca onesta e leale di chiarezza. Apro Dell’inizio di Cacciari (uno dei suoi tanti libri,  lungo da solo più della metà dell’unico capolavoro di Schopenhauer), e mi trovo subito in una selva oscura. Sembra di essere soffocati da una immensa massa di coriandoli ottenuti sforbiciando e facendo a pezzettini i grandi libri dell’umanità. Capita a volte per strada di incrociare persone che parlano da sole, in un tormentato flusso di coscienza, dove la coerenza del discorso è solo nelle associazioni segrete e indecifrabili. La prosa di Cacciari sembra il flusso di coscienza di uno scrittore che mette su carta gli echi indistinti di letture caotiche, ma senza alcun tormento, rimescolandoli anzi alla rinfusa con tranquilla disinvoltura, senza saper fare altro e senza ambizione di fare altro.
“In  fondo, conclude Raffaele Liucci, lo ‘stilismo’ di Cacciari – prosa sbilenca, aggettivazione debordante camuffata da bagliore allusivo – sconta il peccato originale della cultura italiana novecentesca, quasi sempre tutto fumo e niente arrosto. Una cultura verbosa e petulante, gonfia di sé come un pesce palla, ma inconsistente come una medusa”.

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