Carlo Freccero sembra uno
scienziato che si entusiasma e si innamora dei bacilli che studia.
Dieci giorni fa, durante una
trasmissione televisiva, aveva dato a Matteo Renzi un voto altissimo (dieci e
lode) per la capacità di comunicare e uno bassissimo (zero) per i contenuti
politici. Inoltre Freccero, nella recente
scenetta dei bambini di una scuola siciliana che si mettono a cantare per la gioia che il
presidente Renzi faccia loro una visita, aveva trovato una vaga eco di lontane visite del
duce alla gioventù irreggimentata. Nonostante che io abbia una grande
diffidenza per questa cosiddetta scienza della comunicazione, che è l’arte non di
parlare all’intelligenza e ai sentimenti
delle persone, ma di convincere la gente lusingando i suoi pregiudizi e solleticando i suoi gusti più triviali, avevo apprezzato i giudizi di Freccero.
A distanza di una sola
settimana, ieri l’altro sera, invitato ad un altro dibattito televisivo su Renzi e le
sue squillanti iniziative, Freccero mi ha stupito: più nessuna parola di critica
sulla sostanza e una eccitazione puerile per le presunte novità introdotte dal
dinamico giovanotto nella tecnica della comunicazione.
Ma ormai sono decenni che siamo
esposti a diluvi di pubblicità e di celebri frasi sintetiche ed efficaci
(qualcuna la usiamo anche nel nostro linguaggio familiare: ‘metti un
tigre nel motore’, ‘ti spunta un fiore in bocca’, ‘chi beve birra campa cent’anni’,
ecc.), e qualcosa ne capiamo anche noi. Il linguaggio e il modo di presentarsi di Renzi non fanno che ripetere i vecchi
schemi in modo spavaldo, cioè immedesimandosi nella finzione e credendoci totalmente, senza paura di essere
ridicolo e caricaturale.
E allora perché, caro
Freccero, vedi l’azzurro dove c’è solo nero?
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