Non mi sono ancora potuto rassegnare
alla vittoria di Matteo Renzi alle elezioni primarie per la segreteria del Partito Democratico. Quella vittoria per me ha avuto
il terribile significato di suggellare
questa trasformazione: la pubblicità è diventata la politica e la
politica è definitivamente diventata pubblicità.
Non ho nostalgia del vecchio partito comunista, per la cui storia ho un certo rispetto solo fino alla
morte di Luigi Longo, che aveva combattuto contro il fascismo in Spagna e in Italia. (Il tanto celebrato Enrico Berlinguer a me sembra essere
stato un dirigente modesto, senza infamia e senza lode). Però in quel vecchio partito le
idee contavano qualcosa e un giovanotto svelto come Renzi avrebbe potuto,
credo, aspirare solo ad organizzare le feste dell’Unità.
I dirigenti comunisti degli ultimi decenni
hanno cancellato
un patrimonio non tanto politico quanto etico e ideale, di cui non c’è più alcun
alfiere, lasciandosi inghiottire con gioia, insieme a tutto il partito, dalle sabbie mobili di una società opulenta, frivola e ottusa.
Matteo Renzi, dopo la lunga amministrazione di un
sindaco invisibile e inerte come Leonardo Domenici, è spuntato all'improvviso come un fungo da un organismo in decomposizione. E, dopo aver conquistato con
facilità la sedia di primo cittadino di Firenze, ha dato il via a una serie,
che forse non s’interromperà mai, di ben calcolati messaggi pubblicitari per
arrivare alla guida di tutto il partito.
Le cose che dice sono generiche verità senza sostanza, ravvivate da un detestabile vitalismo giovanilistico e condite con sentimentalismo enfatico (“Firenze,
una cittaà che io adoooro…”) e mossette e gesti alla moda.
La sua sostanza umana non sembra essere migliore di
quella dei grigi burocrati che egli dice di voler rottamare. Di diverso ha una più spregiudicata disinvoltura, una presunzione più organica e una giovialità populistica che non sembra nascere da simpatia e comprensione per la gente e per gli altri (che, anzi, probabilmente Renzi disprezza), ma solo da un ego troppo esuberante. Proprio come Berlusconi.
Ma l’arrivo di Renzi alla guida del PD non è solo
la storia di un singolo personaggio che è espressione tipica del culto e della potenza delle immagini televisive. Diventa una prova apocalittica
della crisi morale dell’intera società, se si pensa a come le televisioni e i giornali lo hanno
accompagnato, coccolato e gonfiato fin dal suo primo vagito di rottamatore.
Sembrava che non aspettassero altro. Sono loro che, senza alcun elemento concreto, lo hanno fatto apparire l'unico
possibile salvatore e lo hanno imposto, con la forza della mistificazione e
della ripetizione martellante, a milioni di elettori in cerca di facili speranze.
Perché? Tra le spiegazioni possibili, c’è forse anche questa: hanno sentito che
Renzi è della loro stessa pasta, pane delizioso per i loro denti, e che, sostanzialmente
innocuo, alimenterà per gli anni a venire le loro "narrazioni" (parlo anch'io come quegli umanisti di Vendola e Veltroni) con trame e proposte nuove, edificanti e facili-facili, come se la politica fosse il gioco del monopoli.
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