Citare
nei propri scritti i pensieri altrui non è un’arte, ma una necessità logica o un sentimento irresistibile. Noi facciamo
delle citazioni perché le richiedono il rigore e la chiarezza del ragionamento oppure perché
vi siamo spinti dalla devozione per uno scrittore che ammiriamo e al quale,
modestamente, qualche volta chiediamo conforto.
Al
di fuori di questi due casi, la citazione è soltanto una piuma decorativa sulla
propria feluca di accademico immaginario. Ma si vorrebbe che questa inutile piuma stesse almeno dritta e spavalda! Se invece è moscia e grigia, la citazione non è nemmeno una
esibizione di dottrina, ma solo un segno di fiacco e strascicato mestiere, che
ha perduto perfino il rispetto per la cultura e per l’arte.
Ho
pensato queste cose leggendo l’articolo di Claudio Magris, sul Corriere della Sera
di oggi, “Anche la Chiesa
può essere teatro”. A che serve (faccio un
esempio) citare Pirandello per fargli dire soltanto: “Signori, il pranzo è
servito!” ? L’articolo di Magris, nella sua brevità, chiama in causa, in modo
davvero stracco, alcuni grandi scrittori solo per far loro dire cose generiche
e scontate del genere di “Signori, il pranzo è servito!”.
L'elzeviro comincia così: “Assai poco sapremmo del mondo, come scrive Sciascia, se non ce lo
dicesse la letteratura. Non solo e non tanto quando la letteratura si abbandona
alla più sfrenata invenzione, ma soprattutto quando la sua fantasia si misura
con la realtà – più bizzarra di ogni finzione, secondo Mark Twain – e con
quella cosa ‘originale’ che per Svevo è la vita”. Nel prosieguo non manca una
altrettanto scialba e inutile citazione da Manzoni.
Per il ceto medio riflessivo oggi gli articoli culturali vanno confezionati così: un vuoto farcito di nomi illustri, ridotti però a bigiotteria.
Per il ceto medio riflessivo oggi gli articoli culturali vanno confezionati così: un vuoto farcito di nomi illustri, ridotti però a bigiotteria.
Nessun commento:
Posta un commento