Gentile Sonia,
il tuo libro comincia
con una dedica affettuosa a tuo padre, la cui limpida semplicità è molto commovente per uno che, come me, ha due figlie ormai adulte.
Anche le due epigrafi sono
giuste e profonde (“le cose di valore rimangono immutabili” e “non è quello che
si vede ma quello che c’è dentro che conta”). Esse danno subito l’idea di quale
sia l’ispirazione del libro e invogliano alla lettura.
La Nota a pag. 7 (“Un giorno decideremo di trasformare i
dolori celati per anni in perle”)
conferma l’impressione che l’autrice stia per intraprendere un lungo
viaggio dentro se stessa.
In effetti il libro è una
lunga introspezione; non è un racconto di fatti oggettivi, con tutti i nessi e
le spiegazioni utili a comprenderne la
realtà esteriore. I fatti sono abbastanza sfumati e in parte slegati; stanno piuttosto sullo sfondo e
acquistano una fisionomia soprattutto attraverso l’infaticabile analisi
introspettiva che l’autrice fa della loro
influenza emotiva, psicologica e spirituale.
E’ questo punto di vista
profondamente emotivo, questo disinteresse per la piatta cronaca degli
avvenimenti, che dà un certo carattere visionario al racconto. L’autrice ha la
capacità di oltrepassare la
realtà attraverso sogni e ricordi che le
cose continuamente evocano in lei e mediante le impressioni di paesaggio (il
mare, il sole, il cielo, il vento, l’aria, i colori, ecc.) che fanno da
costante contrappunto alla realtà materiale.
Unicamente dai tempi
dell’adolescenza sono tratti i pochi e brevissimi (ma gustosi) bozzetti che appartengono ai ricordi d’adolescenza di
tutti noi. “A casa nostra la domenica
mattina era sempre un trambusto di preparativi”; “Mio padre, già pronto per
uscire, spegneva il fuoco sotto il sugo già cotto”. E' divertente la
figura di Massimiliano ragazzo, che ama smontare tutti i congegni elettrici e
usa il telefono per parlare con un amico del piano di sotto. E questa osservazione su tuo padre appena ricoverato in ospedale, lo rende molto simpatico: "Papà aveva gia fatto amicizia con tutti quelli del reparto".
Riguardo alla lingua che hai
usato, ho apprezzato la sua fondamentale sobrietà e soprattutto la scelta degli aggettivi, che
non sono mai stereotipati (eccetto che nelle pagine finali che descrivono il rapporto con Alessandro), ma calzanti e originali. Purtroppo, benché, abbia
molto sottolineato, com’è mia abitudine, le pagine del libro, ora so ritrovare
solo questa espressione: “In un febbraio caliginoso di eventi indistinti”.
Un altro pregio della lingua
(e del libro) è che, pur descrivendo una situazione di rapporti sociali e umani
molto siciliana (ma anche di tutto il Meridione), non scadi mai nel dialettale.
Questo conferma quello che dicevo prima: che della realtà esterna ti
interessano soprattutto le potenzialità spirituali, non il folclore.
Riguardo alla sostanza del
libro, solo leggendolo ho finalmente capito il significato del titolo e a quale
tipo di ignoranza tu ti riferisca. Quando, vicino al ponte di Rassina, ho
accennato all’ignoranza amata da Pierpaolo Pasolini, io mi riferivo a un’altra ignoranza. Pasolini amava l’ignoranza
dei semplici, dei candidi, non l’arretratezza
culturale e morale, mettiamo, di un medico, di un avvocato o di un capoufficio qualsiasi, che, ossessionati dal culto delle apparenze, vivono inseguendo solo il prestigio sociale.
Quindi, all’ignoranza di quei
parenti che ti hanno fatta passare sotto le forche caudine dei loro crudeli
pregiudizi e delle loro psicosi, io (se posso permettermi) non riconoscerei
alcun valore.
La qualità del libro è
costituita dalla tenacia della tua lunga riflessione, che sostenuta dalla
pazienza e da una forza morale che certo la natura deve averti concesso, ti
hanno permesso, procedendo a tentoni con una fatica drammatica e commovente, di
arrivare ad alcune semplici e fondamentali verità che ti hanno illuminata e
salvata.
Cito solo questa: “… sono
convinta che il pentimento debba nascere dal cuore. Ogni cosa ha origine da lì
e solo da lì nascono dei buoni comportamenti”.
Un pensiero come questo è
stato il merito di filosofi e moralisti del passato.
Uno di loro (Vauvenargues) ha
detto: “I grandi pensieri vengono dal
cuore”. E un altro (Rousseau): "Io sento il mio cuore e conosco gli uomini".
Gentile Sonia, cordiali
saluti.
F. D.
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