domenica 24 febbraio 2013

Sonia Campisi: I valori dell'ignoranza contro l'amore. Messina-Civitanova Marche, Armando Siciliano editore, 2011. -




















Gentile Sonia,
                       il tuo libro comincia con una dedica affettuosa  a tuo padre, la cui limpida semplicità è molto commovente per uno che, come me, ha due figlie ormai adulte.
Anche le due epigrafi sono giuste e profonde (“le cose di valore rimangono immutabili” e “non è quello che si vede ma quello che c’è dentro che conta”). Esse danno subito l’idea di quale sia l’ispirazione del libro e invogliano alla lettura.
La Nota a pag. 7 (“Un giorno decideremo di trasformare i dolori celati per anni in perle”)  conferma l’impressione che l’autrice stia per intraprendere un lungo viaggio dentro se stessa.
In effetti il libro è una lunga introspezione; non è un racconto di fatti oggettivi, con tutti i nessi e le  spiegazioni utili a comprenderne la realtà esteriore. I fatti sono abbastanza sfumati e in parte slegati;  stanno piuttosto sullo sfondo e acquistano una fisionomia soprattutto attraverso l’infaticabile analisi introspettiva che l’autrice fa della loro  influenza emotiva, psicologica e spirituale.
E’ questo punto di vista profondamente emotivo, questo disinteresse per la piatta cronaca degli avvenimenti, che dà un certo carattere visionario al racconto. L’autrice ha la capacità di oltrepassare  la realtà attraverso sogni e  ricordi che le cose continuamente evocano in lei e mediante le impressioni di paesaggio (il mare, il sole, il cielo, il vento, l’aria, i colori, ecc.) che fanno da costante contrappunto alla realtà materiale.
Unicamente dai tempi dell’adolescenza sono tratti i pochi e brevissimi (ma gustosi) bozzetti che  appartengono ai ricordi d’adolescenza di tutti noi. “A casa nostra la domenica mattina era sempre un trambusto di preparativi”; “Mio padre, già pronto per uscire, spegneva il fuoco sotto il sugo già cotto”. E' divertente la figura di Massimiliano ragazzo, che ama smontare tutti i congegni elettrici e usa il telefono per parlare con un amico del piano di sotto. E questa osservazione su tuo padre appena ricoverato in ospedale, lo rende molto simpatico: "Papà aveva gia fatto amicizia con tutti quelli del reparto".  
Riguardo alla lingua che hai usato, ho apprezzato la sua fondamentale sobrietà  e soprattutto la scelta degli aggettivi, che non sono mai stereotipati (eccetto che nelle pagine finali che descrivono il rapporto con Alessandro), ma calzanti e originali. Purtroppo, benché, abbia molto sottolineato, com’è mia abitudine, le pagine del libro, ora so ritrovare solo questa espressione: “In un febbraio caliginoso di eventi indistinti”.
Un altro pregio della lingua (e del libro) è che, pur descrivendo una situazione di rapporti sociali e umani molto siciliana (ma anche di tutto il Meridione), non scadi mai nel dialettale. Questo conferma quello che dicevo prima: che della realtà esterna ti interessano soprattutto le potenzialità spirituali, non il folclore.
Riguardo alla sostanza del libro, solo leggendolo ho finalmente capito il significato del titolo e a quale tipo di ignoranza tu ti riferisca. Quando, vicino al ponte di Rassina, ho accennato all’ignoranza amata da Pierpaolo Pasolini, io mi riferivo a un’altra ignoranza. Pasolini amava l’ignoranza dei semplici, dei candidi, non l’arretratezza culturale e morale, mettiamo, di un medico, di un avvocato o di un capoufficio qualsiasi, che, ossessionati dal culto delle apparenze, vivono inseguendo solo il prestigio sociale.
Quindi, all’ignoranza di quei parenti che ti hanno fatta passare sotto le forche caudine dei loro crudeli pregiudizi e delle loro psicosi, io (se posso permettermi) non riconoscerei alcun valore.
La qualità del libro è costituita dalla tenacia della tua lunga riflessione, che sostenuta dalla pazienza e da una forza morale che certo la natura deve averti concesso, ti hanno permesso, procedendo a tentoni con una fatica drammatica e commovente, di arrivare ad alcune semplici e fondamentali verità che ti hanno illuminata e salvata.
Cito solo questa: “… sono convinta che il pentimento debba nascere dal cuore. Ogni cosa ha origine da lì e solo da lì nascono dei buoni comportamenti”.
Un pensiero come questo è stato il merito di filosofi e moralisti del passato.
Uno di loro (Vauvenargues) ha detto: “I grandi pensieri vengono dal cuore”. E un altro (Rousseau): "Io sento il mio cuore e conosco gli uomini".
Gentile Sonia, cordiali saluti.
F. D.

Nessun commento: