giovedì 15 novembre 2012

Charles Dickens, Le due città. B.U.R., 1959. - Thomas Carlyle, La Rivoluzione francese. Bietti, 1932. - Hippolyte Taine, L'idéalisme anglais: étude sur Carlyle. Paris, G. Baillière, 1864. - 3^ puntata.




Un effetto particolarmente antipatico di questa prosa è provocato dal tono oracolare, di profondità e semplicità biblica, che il periodare di Dickens tende spesso ad assumere con una facilità che sembra addirittura meccanica.
Dopo che la vettura del marchese di St. Evrémonde ebbe investito e ucciso un bambino del popolo, “la carrozza ripartì, altre passarono vorticosamente in rapida successione: il ministro, il progettista di stato, l’intendente generale, il dottore, l’avvocato, l’ecclesiastico, l’Opera, la Commedia – tutto il ballo in costume in un continuo, brillante fluire – vorticosamente passarono. I sorci erano strisciati fuori dei loro buchi per guardare, e rimasero a guardare per ore e ore […] le donne che lo avevano circondato [il corpo del bimbo ucciso] quando giaceva sul gradino della fontana, sedevano sullo stesso gradino a guardare lo scorrere dell’acqua e il fluire del ballo in maschera […]. L’acqua della fontana scorreva, il rapido fiume scorreva, il giorno scorreva verso la notte, gran parte della vita nella città scorreva verso la morte, secondo la regola per cui il tempo e la corrente non aspettano nessuno, i sorci dormivano di nuovo, stretti uno all’altro nei loro buchi neri, il ballo in costume era accompagnato dalle fiaccole a cena, tutte le cose andavano avanti come il solito” (p. 119).
Ed anche di questi brani, ce ne sono troppi: tutti pieni di enumerazioni e di ripetizioni dovuti ad una esaltazione facile e superficiale.
Anche l’umorismo di Dickens in questo romanzo fa cilecca. In questo breve passo, per significare ‘battesimo’, Dickens crea un arzigògolo non degno della sua grandezza di umorista:
“Il suo nome di famiglia era Cruncher, e nella giovanile occasione della sua rinuncia per procura alle opere delle tenebre nella parrocchia orientale di Houndsditch, aveva ricevuto per giunta l’appellativo di Jerry” (p. 61).
Del grande umorismo di Dickens riesco a ricordare qui solo qualche esempio:
“Gli occhi del signor Cruncher sembrarono farsi un poco più vicini l’uno all’altro, quasi per scambiarsi la domanda: Che ne pensi?” (p. 65).
E anche quando Madame Defarge, traboccante di energia rivoluzionaria, poiché la rivoluzione non era ancora iniziata, “legò un nodo con gli occhi sfavillanti, come se strangolasse un nemico” (p. 186).
Alcune frasi, particolarmente acute e poetiche, vanno ricordate.
Per es, quando, parlando del popolo, Dickens scrive che la sua miseria “per quasi cento anni avrebbe reso proverbiale in Inghilterra la magrezza dei francesi” (p. 121).
In quest’altro passo, un vecchio e un giovane stanno parlando. “Una luce, o un’ombra (il vecchio signore non avrebbe potuto definirla) passò, rapida come un cambiamento sul fianco di una collina in un vivido giorno ventoso, sul viso del giovane…” (p. 320).
Anche poetica è questa scena in cui Sydney Carton, giovane avvocato fino a quel momento malvissuto, cammina per Parigi, dopo aver deciso di sacrificare la vita per restituire il marito condannato a morte a Lucie Manette, la donna che ama e ammira.
“Ma il sole glorioso, sorgendo, ribadì nel suo cuore, caldo e luminoso, quelle parole retaggio della notte [parole di speranza e di redenzione cristiana], coi lunghi raggi lucenti. E guardando quei raggi con gli occhi riverentemente riparati dalla mano, parvegli che un ponte di luce traversasse l’aria fra lui e il sole sullo scintillio del fiume” (p. 326).
Dello stile appassionato e potente di Dickens, al quale Taine attribuisce la metà della gloria dello scrittore, mi sembra di aver trovato qui un solo esempio, ed è la descrizione, lunga una intera pagina, di un barile di vino che cade dal carretto e si sfascia sul selciato. Il vino si sparge in mille rivoli e uomini, donne e bambini cercano in tutti i modi di raccoglierlo e di approfittarne, “perfino coi fazzoletti tolti dalla testa delle donne, che poi venivano spremuti nella bocca dei bambini; altri facevano piccole dighe di fango per trattenere lo scorrer del vino, o, diretti da spettatori protesi dalle finestre, saltavano qua e là per intercettare i rivoletti che cominciavano a correre in nuove direzioni…” (p. 36).
La maggioranza degli uomini non prova che emozioni fiacche. I tre quarti degli oggetti ci lasciano freddi. Dickens, invece, sa osservare e rendere interessanti soprattutto le piccole cose. Anzi, aggiunge Taine, ne fa dei drammi, li trasforma in oggetti di ammirazione, di tenerezza e di spavento.
Proprio perché la strada per il sublime gli è sbarrata, le sue descrizioni della rivoluzione ci lasciano freddi, mentre la scena di questi popolani che si affannano a raccogliere un po’ di vino sparso per terra ci diverte e ci commuove.

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