Un
effetto particolarmente antipatico di questa prosa è provocato dal tono
oracolare, di profondità e semplicità biblica, che il periodare
di Dickens tende spesso ad assumere con una facilità che sembra addirittura meccanica.
Dopo
che la vettura del marchese di St. Evrémonde ebbe investito e ucciso un bambino
del popolo, “la carrozza ripartì, altre passarono vorticosamente in rapida
successione: il ministro, il progettista di stato, l’intendente generale, il
dottore, l’avvocato, l’ecclesiastico, l’Opera, la Commedia – tutto il ballo
in costume in un continuo, brillante fluire – vorticosamente passarono. I sorci
erano strisciati fuori dei loro buchi per guardare, e rimasero a guardare per
ore e ore […] le donne che lo avevano circondato [il corpo del bimbo ucciso] quando
giaceva sul gradino della fontana, sedevano sullo stesso gradino a guardare lo
scorrere dell’acqua e il fluire del ballo in maschera […]. L’acqua della fontana scorreva, il rapido fiume scorreva, il giorno
scorreva verso la notte, gran parte della vita nella città scorreva verso la
morte, secondo la regola per cui il tempo e la corrente non aspettano nessuno,
i sorci dormivano di nuovo, stretti uno all’altro nei loro buchi neri, il ballo
in costume era accompagnato dalle fiaccole a cena, tutte le cose andavano
avanti come il solito” (p. 119).
Ed
anche di questi brani, ce ne sono troppi: tutti pieni di enumerazioni e di
ripetizioni dovuti ad una esaltazione facile e superficiale.
Anche
l’umorismo di Dickens in questo romanzo fa cilecca. In questo breve passo, per
significare ‘battesimo’, Dickens crea un arzigògolo non degno della sua grandezza
di umorista:
“Il
suo nome di famiglia era Cruncher, e nella giovanile occasione della sua
rinuncia per procura alle opere delle tenebre nella parrocchia orientale di
Houndsditch, aveva ricevuto per giunta l’appellativo di Jerry” (p. 61).
Del
grande umorismo di Dickens riesco a ricordare qui solo qualche esempio:
“Gli
occhi del signor Cruncher sembrarono farsi un poco più vicini l’uno all’altro,
quasi per scambiarsi la domanda: Che ne pensi?” (p. 65).
E
anche quando Madame Defarge, traboccante di energia rivoluzionaria, poiché la
rivoluzione non era ancora iniziata, “legò un nodo con gli occhi sfavillanti,
come se strangolasse un nemico” (p. 186).
Alcune
frasi, particolarmente acute e poetiche, vanno ricordate.
Per
es, quando, parlando del popolo, Dickens scrive che la sua miseria “per quasi
cento anni avrebbe reso proverbiale in Inghilterra la magrezza dei francesi”
(p. 121).
In
quest’altro passo, un vecchio e un giovane stanno parlando. “Una luce, o un’ombra (il vecchio signore
non avrebbe potuto definirla) passò,
rapida come un cambiamento sul fianco di una collina in un vivido giorno
ventoso, sul viso del giovane…” (p. 320).
Anche
poetica è questa scena in cui Sydney Carton, giovane avvocato fino a quel
momento malvissuto, cammina per Parigi, dopo aver deciso di sacrificare la vita
per restituire il marito condannato a morte a Lucie Manette, la donna che ama e
ammira.
“Ma
il sole glorioso, sorgendo, ribadì nel suo cuore, caldo e luminoso, quelle
parole retaggio della notte [parole di speranza e di redenzione cristiana], coi
lunghi raggi lucenti. E guardando quei raggi con gli occhi riverentemente
riparati dalla mano, parvegli che un
ponte di luce traversasse l’aria fra lui e il sole sullo scintillio del fiume” (p.
326).
Dello
stile appassionato e potente di Dickens, al quale Taine attribuisce la metà
della gloria dello scrittore, mi sembra di aver trovato qui un solo esempio, ed
è la descrizione, lunga una intera pagina, di un barile di vino che cade dal
carretto e si sfascia sul selciato. Il vino si sparge in mille rivoli e uomini,
donne e bambini cercano in tutti i modi di raccoglierlo e di approfittarne,
“perfino coi fazzoletti tolti dalla testa delle donne, che poi venivano
spremuti nella bocca dei bambini; altri facevano piccole dighe di fango per
trattenere lo scorrer del vino, o, diretti da spettatori protesi dalle finestre,
saltavano qua e là per intercettare i rivoletti che cominciavano a correre in
nuove direzioni…” (p. 36).
La
maggioranza degli uomini non prova che emozioni fiacche. I tre quarti degli
oggetti ci lasciano freddi. Dickens, invece, sa osservare e rendere
interessanti soprattutto le piccole cose. Anzi, aggiunge Taine, ne fa dei drammi,
li trasforma in oggetti di ammirazione, di tenerezza e di spavento.
Proprio
perché la strada per il sublime gli è sbarrata, le sue descrizioni della
rivoluzione ci lasciano freddi, mentre la scena di questi popolani che
si affannano a raccogliere un po’ di vino sparso per terra ci diverte e ci commuove.
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