Ho dovuto
sopportare per decenni l’aridità morale e le difficoltà sociali a cui ci ha
portati la dominante cultura laica, superficiale e irresponsabile, indifferente
alle conseguenze delle sue meschine azioni democratiche. (Ne cito solo tre, che
mi sembrano molto rappresentative: l’abolizione dello studio del latino,
l’istituzione delle regioni, che fu presentata 40 anni fa come una rivoluzione
politico-amministrativa e si è rivelata invece una catastrofe economica e
politico-morale, e la legge dell’equo canone, che ha devastato il mercato della
casa e la vita di milioni di famiglie per una quindicina d’anni, a cavallo
degli anni Ottanta). Dopo aver visto tante esperienze fallimentari, mi sono
convinto alla fine che, per arrivare a una società moderna a misura dell’uomo,
questa cultura, che si è degradata fino a diventare l'anima del consumismo, va assolutamente superata e sostituita con altre idee e altri
sentimenti. Impresa titanica! Alfonso Berardinelli, commentando la
Lettera a un religioso di S. Weil in un
fascicolo della rivista ‘Filosofia e teologia’ (n. 3, 1994), riassumeva così il
suo pensiero:
“L’Europa dei partiti politici, dell’oppressione
operaia, dell’alienazione scolastica, non può avere salvezza nel recupero di
valori liberal-democratici. L’ateismo umanistico europeo ha abolito il senso
del limite, dell’ordine cosmico, dell’ordine necessario della realtà naturale.
Ha prodotto l’idea e l’idolatria della produzione illimitata e del progresso
illimitato, l’idolatria del futuro […] La sola via d’uscita sarebbe per la Weil l’incarnazione del
Cristianesimo nella nostra vita sociale profana. Si tratterebbe di diffondere
socialmente quell’esperienza del sacro che libera la persona dall’idolatria
della propria maschera. Si tratterebbe cioè di rovesciare venti secoli di
storia occidentale”.
Simone Weil
pensa che tutte le religioni siano ‘in essenza’ cristianesimo, e che il
cristianesimo sia, in fin dei conti, sinonimo di spiritualità. La Weil è convinta che nel mondo
moderno niente di vero, reale e giusto sarà più possibile, senza esperienza
individuale e quotidiana del sacro: cioè di ciò che non cede alla forza, non è
accessibile al suo contagio, non si mescola col male e resiste a qualsiasi pena
(Berardinelli). Questa esigenza di
spiritualità nasceva in lei dalla convinzione che fosse impossibile resistere
anzitutto mentalmente, e poi praticamente, politicamente, alla pressione della
forza e dell’inerzia che regolano la macchina sociale, senza aprire nella mente
umana moderna di nuovo lo spazio dell’esperienza trascendentale (Berardinelli).
Questo
sentimento del sacro mi piace e mi convince. Penso, anzi, che anche quando mi
dichiaravo ateo, la mia fiducia nei valori invisibili ma veri, reali e
obiettivi, quali la verità, la compassione, il coraggio, ecc., si nutrisse del sentimento del sacro, che consiste, mi pare, nel sentire che esiste una
realtà superiore a quella dei singoli individui e della società umana. Per
cercare di trovare una coerenza fra idee e sentimenti, mi sono messo a fare il filosofo. Sollecitato dalle
osservazioni generiche sulla società, di cui ho parlato sopra, e da esperienze
più personali e intime, quali la bellezza della natura e la mitezza degli animali,
sono arrivato ad elaborare una filosofia che si può condensare in tre concetti:
esiste un Dio creatore, intelligente e provvidenziale; però egli si interessa solo
delle specie e non dei singoli individui. L’anima non è immortale. Infatti, perché
mai l’anima dovrebbe essere eterna? Niente mi porta a pensarlo. Il sentimento
del sacro, questo bene prezioso che eleva l’uomo al di sopra della pura
animalità, è fondato sull’esperienza dell’armonia fondamentale che domina, al
di là di incrinature e contraddizioni particolari, nella natura e
nell’universo. Vorrei, però, precisare, senza sarcasmo, che la condizione
animale, la quale presuppone, tra l’altro, l’amore per i figli, non è affatto
la peggiore condizione in cui l’uomo possa trovarsi. Gli esseri umani possono
scendere ben al di sotto di essa. Non solo le tragiche vicende della storia
recente ci ammoniscono su questa irresistibile tendenza dell’uomo a scendere
sotto il livello delle bestie, ma già Tacito, nella sua Vita di Agricola, aveva scritto: “E’ proprio della natura umana
odiare colui che hai offeso” (Proprium humani ingenii est odisse quem
laeseris).
Sono stato
sorpreso, e forse compiaciuto, leggendo I
quattro Vangeli nell’edizione B.U.R. (2008), corredati da un bellissimo e
prezioso commento storico-letterario di Benedetto Prete, di scoprire che i
Sadducei avevano, su Dio e l’anima, più o meno le mie stesse idee. “La setta dei Sadducei riteneva che il
Signore non si occupasse delle cose create; di conseguenza essi negavano la
provvidenza divina, l’immortalità dell’anima e la risurrezione del corpo” (pag.
211). Sarei dunque un Sadduceo in ritardo di duemila anni? Non lo so davvero; e
qualsiasi cosa ciò voglia dire, io posso solo affermare che per ora questi sono
i miei pensieri.
(continua al post successivo)
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