Maupassant, con il suo sguardo profondo, ha già capito tutto. “Sembrava che ella considerasse le carezze
inutili, imbarazzanti, piuttosto penose. Non insensibile, vi si sottoponeva, ma
subito ne era stanca… Quando, nel bel mezzo d’una conversazione, egli le prendeva
una mano per baciarne le dita… , sembrava che ella fosse sempre smaniosa di
ritrarle, e in tutto il braccio egli sentiva una forza segreta di ripulsa”.
Si poteva descrivere con più efficacia artistica e verità umana le reazioni
fisiche di una donna dall’ “indolente modo di
fare, che non si soffermava mai a lungo su nulla… perpetua prigioniera delle
ironie che corrodono”?
“Tutto ciò che in un primo
momento le era piaciuto di un uomo, tutto ciò che l’aveva incoraggiata,
agitata, commossa, affascinata, subito le appariva scontato, sfiorito, banale.
Tutti si rassomigliavano troppo”.
Michèle de Burne, “pungolata dai
nervi più che dai desideri…, viveva in uno stato di allegra noia”. Gaston
de Lamarthe, coscienza critica dei cambiamenti sociali e morali della Francia
dell’epoca, “incasellava la signora de
Burne tra le scentrate [détraquées = squilibrate] del giorno… Era stato il
primo a occuparsi di questo nuovo genere di donne col fragile sistema nervoso
di isteriche fornite della ragione, pressate da mille contraddittorie esigenze
che non arrivano tuttavia a concretarsi in desideri, deluse di tutto senza aver
nulla goduto… e che, senza ardore, senza slancio, sembra che ai capricci di
bambini viziati mescolino l’arido scetticismo dei vecchi”.
Già Balzac, nel suo breve saggio del 1840 intitolato 'La femme comme il faut', aveva scritto: "Il suo spirito, quando ne ha, consiste nel mettere tutto in dubbio".
Già Balzac, nel suo breve saggio del 1840 intitolato 'La femme comme il faut', aveva scritto: "Il suo spirito, quando ne ha, consiste nel mettere tutto in dubbio".
Madame de Burne è nella sostanza uguale alle donne, più o meno
intellettuali, del ceto medio-alto descritte da Elena Croce nel suo prezioso
libretto del 1964, Lo snobismo liberale.
E’ interessante che il libro della Croce dedichi subito, all’inizio, un
capitolo all’importanza della ‘casa’. “Nella
‘casa’ si riconosceva infatti enfaticamente una fondamentale proiezione della
personalità: dire di qualcuno ‘ha una casa simpaticissima’, equivaleva a
suggerire che quella persona aveva
risorse segrete di ‘intimità’, chi sa quanto apprezzabili”, ecc. ecc.
Della signora de Burne e della sua casa, Maupassant aveva detto cose molto
simili. Lei credeva che “l’armonia delle
tappezzerie, delle stoffe, la comodità delle seggiole, la piacevolezza delle
forme, la grazia dell’insieme, carezzino, attraggano e appaghino lo sguardo
come i bei sorrisi. Gli appartamenti simpatici o antipatici, diceva
lei,…invitano al trattenimento o respingono come le persone che li abitano”.
Elena Croce scrive che “la borghese ‘femme comme il faut’ aveva ormai
sostituito il personaggio aristocratico della ‘femme d’esprit’; e in una
pagina che meriterebbe di essere famosa traccia un ritratto che, a parte il
feroce sarcasmo di una prosa da grande moralista, sembra quello di Madame de
Burne.
“Nessun personaggio, meglio dell’apparentemente
innocua, leggiadra, ma costosissima ‘femme comme il faut’, poteva operare
l’alleanza definitiva fra la spudorata venerazione della potenza economica e la
svalutazione di tutto ciò che è spirituale. Il suo contegno aveva ripreso dalla
tradizione aristocratica il canone dell’estrema gentilezza formale; nel periodo
fra le due guerre esso era degenerato in un formalismo la cui impeccabilità
serviva soltanto a dare il debito rilievo a un’ironia piena di disprezzo.
Questa ironia… si applicava, con meschino accanimento, a tutto quanto appariva
indifeso da un elegante cinismo. Donne quasi cretine, di un’ignoranza abissale,
erano allenate a stroncare con una parola, con un gesto soave, che era poi
l’equivalente di un sogghigno, qualsiasi affermazione di valore e di fede;
giacché ogni convinzione comporta un calore di per sé imperdonabile” (e molto vulnerabile, aggiungo
io).
Madame de Burne ha invitato nel suo salotto, per pura vanità, lo scultore
Prédolé, la cui mostra parigina ha avuto un grande successo. Egli è goffo,
semplice e profondo. Parla con passione e originalità della propria arte. Dopo
che se n’è andato, la femme comme il faut
lo liquida con una battuta: “Molto
interessante, ma noioso”.
La consonanza fra il romanzo di Maupassant e Lo snobismo liberale mi
sembra piena e confermata con forza fin nelle frasi conclusive del luminoso
libretto di Elena Croce.
“Non abbiamo più parole che
esprimano semplici rapporti umani… Fortunatamente, se no la vita non sarebbe
più tale, possediamo ancora il termine di riferimento delle persone più
semplici… Le ‘persone semplici’ sanno ancora esprimere il valore e la
dimensione reale delle cose, sanno ancora perfettamente distinguere ciò che è
umano da ciò che non lo è”.
Forse Elena Croce, rispetto a Maupassant, è ancora, nonostante l’amarezza,
troppo ottimista, quando conclude che “questa
semplicità naturale o popolare, checché ne dicano i più pensosi e pessimisti
sociologi, sembra assai più resistente della cultura borghese agli ‘orrori’
della civiltà meccanizzata”. Io credo, infatti, che oggi non ci siano più gruppi o
categorie di ‘persone semplici’. Sono sparite sia le persone "che hanno conquistato la semplicità liberando la loro cultura da ogni pretesa’ (in quarant’anni di lavoro in una
grande biblioteca, ne ho incontrate al massimo un paio), sia le persone semplici
del popolo. La semplicità popolare è ormai solo un mito. Essa è stata travolta dalla televisione e
dai telefonini, strumenti di uno strano fenomeno di dilagante corruzione
‘democratica’, per cui donne dallo stile di pesciaiole in servizio, persone squalificate di ogni risma e piccoli personaggi oscuri e inetti possono diventare sindaci, assessori, ministri.
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